domenica 15 marzo 2020
A Londra corsa ai supermercati per fare scorta del prezioso presidio igienico. Senza vero motivo. Il meccanismo che scatta quando parte la corsa agli sportelli bancari. Ma lo Stato può intervenire
Un supermercato inglese svuotato

Un supermercato inglese svuotato - Wikimedia Commons - Philafrenzy

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C’è un curioso effetto collaterale dell’emergenza coronavirus in Gran Bretagna e in Australia che, oltre a preoccupare le autorità, sta suscitando anche l’interesse degli studiosi. Si tratta della corsa ai supermercati per fare scorte di carta igienica. Si acquistano in grandi quantità anche pasta e prodotti per la pulizia personale, ma l’accaparramento del prezioso presidio igienico di recente diffusione su larga scala suscita ironia e interrogativi, mentre sul piano pratico ha causato il razionamento da parte delle principali catene della grande distribuzione, tra cui Tesco. Già un anno fa, la carta igienica era letteralmente andata a ruba, quando si temeva un’uscita traumatica dalla Ue, dato che si tratta di un prodotto prevalentemente importato da Paesi dell’Unione.

Correre ai supermercati e fare scorte di carta igienica è un po’ come correre agli sportelli bancari per ritirare i risparmi in momenti di grave instabilità, dicono gli economisti. Si corre a comprare carta igienica non perché si pensa che la società stia per implodere, ma perché si teme che gli altri temano che la società stia per implodere. La paura di una corsa alla carta igienica – così come una corsa agli sportelli bancari - è sufficiente per creare una corsa reale dagli effetti estremamente negativi.

Lo ha spiegato prima su Twitter e poi in un’intervista alla Bbc l’economista Justin Wolfers, dell’Università del Michigan, guadagnandosi le lodi pure del famoso psicologo e intellettuale americano Steven Pinker. Anche se tu non sei preoccupato per la pandemia, ti preoccuperai che tutti gli altri lo siano, quindi immagini che si accaparreranno la carta igienica e nemmeno tu vorrai rimanere senza. Quindi, farai scorta per evitare di essere l’unico privo della “toilet paper” e correrai al supermercato non perché hai bisogno di dozzine di rotoli, ma perché temi che gli altri prendano tutto senza lasciare nulla. Ma anche gli altri stanno acquistando perché temono (correttamente) che tu stia arrivando per fare scorta, senza lasciare nulla a loro.

Il problema, secondo gli esperti, è che abbiamo due equilibri. In tempi normali, tutti credono che ci sarà carta igienica, quindi nessuno fa scorta. In tempi di panico, tutti temono la scarsità e cominciano a fare scorte, cosa che conduce inevitabilmente alla scarsità. Quello che sta succedendo a Londra. Questa situazione è generata dalla paura, ma la scarsità di carta igienica ci dice anche che la paura è razionale. Quello che rimane non chiarito è perché nascano certe paure diffuse e, in particolare nel caso specifico, che cosa abbia scatenato il timore di rimanere senza un presidio igienico certamente utilissimo ma non vitale. Una volta scattato il panico, i comportamenti conseguenti paradossalmente sono corretti e prevedibili. L’analogia con la corsa agli sportelli bancari può aiutarci a capire come prevenire i danni della diffusione della paura. In primo luogo, si crea un’assicurazione dello Stato sui conti correnti, così, anche se tutti gli altri corrono agli sportelli, non si deve arrivare per primi, anzi, si può stare tranquilli a casa. In secondo luogo, la Banca centrale presta soldi alle banche per fronteggiare la corsa agli sportelli.

Un po’ scherzando, un po’ no, Wolfers suggerisce che serve una riserva strategica di carta igienica sostenuta dallo Stato. Tale riserva rimuove l'incentivo a fare scorte, garantisce che anche se vedi gli altri correre al supermercato, non devi preoccuparti di restare senza carta igienica. La morale è che la gestione delle crisi bancarie assomiglia alla gestione della scarsità di carta igienica. Entrambi hanno a che fare con problemi che possono essere risolti con un'intelligente regolamentazione governativa. L'unica differenza è il tipo di carta in questione, verrebbe da dire.

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