giovedì 11 febbraio 2016
Dopo la sentenza del Tar dell’Emilia Romagna la replica della Chiesa di Bologna: ​«Gesto di pace», mai «è stato allora imposto»: «fu conseguente a una adesione libera e volontaria». 
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Secondo il Tar dell’Emilia Romagna a scuola non si possono fare le benedizioni pasquali. Neppure se fissate in orario extrascolastico e solo per coloro che liberamente scelgono di parteciparvi. Questo dice la sentenza che mercoledì ha accolto il ricorso presentato da alcuni insegnanti e genitori dell’Istituto comprensivo 20 di Bologna (che comprende due scuole elementari e una scuola media), insieme al Comitato Scuola e costituzione. I fatti risalgono al 2015, quando il parroco del territorio dove hanno sede i tre plessi dell’Istituto chiese alla dirigente scolastica di entrare per la benedizione. Proposta che venne regolarmente votata e approvata a grande maggioranza in Consiglio d’Istituto, così come prevede la sentenza del Consiglio di Stato intervenuto proprio su un’analoga vicenda. Subito scoppiò il putiferio, con il coro di protesta di un gruppettino sparuto ma agguerrito di insegnanti e genitori che presentarono, appunto, ricorso. La dirigente scolastica, in attesa della sentenza, decise di andare avanti, e le benedizioni si fecero comunque. Fino al pronunciamento del Tar. Che ha suscitato molto stupore e parecchia perplessità non solo nelle stanze della diocesi e della scuola stessa, ma di tutta la città. Proprio in queste ore l’Ufficio scolastico regionale sta valutando insieme all’Avvocatura dello stato la possibilità di ricorrere al Consiglio di Stato. Durissima la condanna dell’arcidiocesi di Bologna: “La pronuncia desta stupore e amarezza; il merito non appare condivisibile – si legge nella nota divulgata da via Altabella - Infatti quel gesto di pace che è la benedizione pasquale non è stato allora imposto a nessuno, ma fu conseguente a una adesione libera e volontaria e avvenne in orario extrascolastico, nel pieno rispetto della normativa vigente”. Inoltre “escludere la dimensione religiosa dalla scuola e pesare di ridurla a una sfera meramente individuale non contribuisce all’affermazione di una laicità correttamente intesa”. La decisione è stata avvertita come una violenza dallo stesso istituto, che aveva voluto la benedizione, votando democraticamente. “Io non ho mai chiesto ai sacerdoti di venire a benedire – spiega la dirigente Daniela Turci (che è anche consigliera comunale Pd) – e prima dell’anno scorso non si era mai fatto. Ma sono colpita dalla durezza della decisione. Ci obbliga a non fare quello che era stato deciso dal Consiglio d’Istituto e che era lasciato alla libertà delle persone. Ciò che lo stesso Consiglio di Stato aveva dichiarato lecito se fatto liberamente e in orario extrascolastico. Il Tar va contro quindi, ciò che dice il Consiglio di Stato. Mi chiedo inoltre dove stiamo andando: c’è polemica sul fare il Presepe a scuola, a Casalecchio non vogliono i crocifissi davanti al cimitero, c’è una battaglia contro il crocifisso nei luoghi pubblici e adesso addirittura si prendono di mira le benedizioni. Si attacca un simbolo di pace che è parte della cultura del popolo italiano”. Turci ha anche pensato una contromossa: benedire la scuola da fuori, “lì c’è spazio e non c’è bisogno di un voto del Consiglio d’Istituto”. Una proposta che sottoporrà all’attenzione dei genitori. Sulla vicenda è intervenuto anche il deputato bolognese Pd Andrea De Maria: "Chi conosce la mia biografia sa bene qual è la mia cultura politica e civile. Fin da ragazzo mi sono battuto per la laicità delle istituzioni pubbliche. Devo però dire francamente che non vedo come una benedizione data in una scuola, fuori orario di lezione e con partecipazione strettamente volontaria, possa violare quei principi di laicità". Cosa succederà ora nelle scuole dove da sempre si fanno le benedizioni pasquali? “La sentenza è anzitutto di primo grado – precisa Paolo Cavana, docente alla Lumsa – È quindi appellabile. Così come accadde a una sentenza analoga del Tar su un caso in Emilia, che venne poi rigettata dal Consiglio di Stato. Poi decide esclusivamente sul caso singolo. Non è legge”. Ciò che resta è il principio, scivoloso ed estraneo alla cultura italiana: via la religione dai luoghi pubblici, in quanto fatto privato. A rigore, allora, si potrebbe arrivare anche a vietare le processioni sulle strade pubbliche.
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