mercoledì 28 aprile 2021
Dopo 7 anni e mezzo la Cassazione respinge come "inammissibile" il ricorso della Dda di Catanzaro. La prima cittadina di Isola di Capo Rizzuto, arrestata nel 2013, non è mai stata collusa
Assoluzione definitiva per Carolina Girasole "sindaca coraggiosa" qui nel Giardino delle farfalle, realizzato su un bene confiscato

Assoluzione definitiva per Carolina Girasole "sindaca coraggiosa" qui nel Giardino delle farfalle, realizzato su un bene confiscato - .

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Carolina Girasole, sindaca coraggiosa di Isola di Capo Rizzuto non era collusa con la ‘ndrangheta, non è stata appoggiata elettoralmente dalla cosca Arena e nè l’ha favorita negli appalti. Lo ha deciso definitivamente ieri sera la Corte di Cassazione, respingendo come “inammissibile” il ricorso della Dda di Catanzaro contro le sentenze che sia in primo che in secondo grado avevano assolto con formula piena la Girasole e il marito Franco Pugliese. La notizia l’ha data la stessa ex sindaca con un post su Facebook. “Dopo 7 anni e 5 mesi il calvario è finito. Sono però ancora perplessa, esterrefatta, sconvolta per quanto è accaduto. Dopo questo tempo ancora mi chiedo i perché di questo delirio che è accaduto. Tralasciamo gli errori, le intercettazioni sbagliate, quelle inesistenti, la realtà travisata, ma c’erano atti chiari e determinati della mia amministrazione che contrastavano contro le accuse che mi sono state mosse. Ringrazio il mio avvocato Marcello Bombardiere che essendo all’epoca assessore conosceva la storia e grazie a lui abbiamo ricostruito ogni passaggio dimostrando che queste accuse erano basate sul nulla”.

Carolina Girasole, sindaco del paese crotonese dal 13 aprile 2008 al 26 maggio 2013 e simbolo della lotta alla ’ndrangheta era finita nel “tritacarne” il 3 dicembre 2013 con l’arresto per voto di scambio, corruzione elettorale, turbativa d’asta. Secondo l’accusa avrebbe favorito, assieme al marito Franco Pugliese, la potente cosca Arena in cambio del sostegno elettorale. In particolare avrebbe permesso che a vincere il bando per la raccolta di finocchi sui terreni confiscati agli Arena fosse una cooperativa a loro legata, favorendo il clan che si era visto togliere quei terreni. Finocchi che, un primo momento, si era deciso di distruggere. Tutte accuse da cui poi viene assolta con formula piena il 22 settembre 2015 dopo 168 giorni di arresti domiciliari, per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste, il massimo per un’assoluzione.

Nelle motivazioni si leggeva, che non sono stati rilevati “contatti diretti tra i coniugi Girasole-Pugliese ed esponenti della famiglia Arena”. Niente emerge dalle intercettazioni dove sono sempre altri a parlare di loro. Invece, scrivevano i giudici, “non solo il contenuto delle conversazioni é equivoco ma oltretutto, ravvisandosi in esse il riferimento a soggetti terzi (il sindaco e il marito) é necessaria un’operazione di rigorosa “controverifica”, finalizzata a verificare se, dall’istruttoria dibattimentale, siano emersi elementi tali da giustificare una diversa ricostruzione dei fatti”. Ma questo non è avvenuto. Anzi la Girasole e il suo avvocato scoprono che nella trascrizione delle intercettazioni ci sono nomi sbagliati o addirittura parole che non esistono. E la Corte lo fa notare. Insomma, tagliavano corto i giudici, vi è “assenza di qualsivoglia collegamento tra la Girasole e il marito e alcuno degli imputati avente a oggetto una trattativa di voti da scambiare contro altre utilità”. Anzi con gli Arena c’era “un quadro di rapporti non certo idilliaci” e “di contrasto difficilmente spiegabili ove fosse intervenuto, a monte, un accordo elettorale”. Piuttosto viene confermato e sottolineato l’impegno antimafia della Girasole. E l’”inimicizia manifestata dagli Arena nei suoi confronti proprio in quanto da loro percepita come fautrice di una politica contraria ai loro interessi”.

Malgrado questa completa bocciatura delle accuse, la Dda di Catanzaro presenta appello. Il 27 maggio 2019 arriva la seconda assoluzione. Anche questa piena. La Corte d’appello di Catanzaro confermava che “rimane decisamente fuori dalla portata dimostrativa delle prove addotte dall’accusa, la possibilità di ritenere provato nel 2008 un qualsiasi accordo elettorale corruttivo tra la Girasole e gli Arena”. Insomma, tagliavano corto i giudici “quello che manca è proprio la prova dell'accordo collusivo”. Anzi, aggiungevano, con l’elezione della Girasole si realizza un “deciso cambio di marcia da parte dell’amministrazione comunale a fronte dell’immobilismo colpevole registratosi fino ad allora da parte dagli organi periferici dello Stato”. Tutt'altro che collusione. Anzi gli Arena si lamentavano del comportamento della Girasole “ipotizzando la possibilità di far cadere l'amministrazione comunale”. E al telefono la insultavano. Malgrado questa seconda “bocciatura” la Dda insiste e presenta ricorso in Cassazione. Ieri la sentenza definitiva, dopo quasi 7 anni e mezzo.

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