sabato 24 aprile 2021
Il 24 aprile 2013 in Bangladesh crollava una fabbrica tessile uccidendo 1.134 lavoratori. Allora 200 marchi firmarono un patto sulla sicurezza che scade il 31 maggio. E rischia di essere depotenziato
Savar, distretto di Dacca: le macerie dell'edificio commerciale di otto piani crollato per un cedimento strutturale

Savar, distretto di Dacca: le macerie dell'edificio commerciale di otto piani crollato per un cedimento strutturale - (Foto: Campagna Abiti Puliti)

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Una strage annunciata. Le condizioni fatiscenti dell'edificio e l'organizzazione del lavoro, finalizzata solo al massimo profitto, non potevano che portare a una tragedia di quelle dimensioni. Era il 24 aprile del 2013 quando in Bangladesh l'edificio Rana Plaza, che ospitava imprese tessili, si sbriciolò uccidendo almeno 1.134 uomini e donne. È stato il peggior disastro industriale che il settore dell'abbigliamento abbia mai registrato. Otto anni dopo, vista l'impossibilità causa pandemia di organizzare commemorazioni, le organizzazioni umanitarie e i sindacati hanno lanciato il sito web RanaPlazaNeverAgain.org in inglese e bengalese dove lasciare messaggi di commemorazione.

La piattaforma commemorativa permette anche di inviare messaggi direttamente ai marchi che producono in Bangladesh e che stanno per far saltare il Bangladesh Accord, un programma che ha reso le fabbriche più sicure per oltre 2 milioni di lavoratori e lavoratrici nel corso degli ultimi otto anni. L'accordo, che favorisce la sicurezza degli edifici in Bangladesh e misure antincendio, è stato ideato settimane dopo il crollo come un programma di sicurezza vincolante, sulla base della constatazione che i programmi volontari non erano riusciti a prevenire questa tragedia. Il Bangladesh Accord è stato firmato da oltre 200 marchi e ha reso più sicure oltre 1.600 fabbriche in tutto il paese. La natura vincolante dell’Accordo, cruciale per il suo successo, scadrà il 31 maggio.

«Non voglio morire per la moda», recita il cartello di una lavoratrice

«Non voglio morire per la moda», recita il cartello di una lavoratrice - (Foto: Campagna Abiti Puliti)

«Nessun marchio o distributore attualmente membro dell'Accordo - denuncia la Campagna Abiti puliti - si è impegnato a firmare un nuovo programma altrettanto legalmente vincolante. Al contrario, i marchi stanno proponendo versioni del programma annacquate e indebolite, e ciò rende estremamente probabile che la sicurezza sul posto di lavoro in Bangladesh torni ai livelli precedenti al crollo del Rana Plaza».

Secondo Kalpona Akter, presidente della Bangladesh Garment and Industrial Workers Federation, «Rana Plaza non è stato un incidente: è stato un omicidio. Questo disastro era del tutto evitabile. Se vogliamo prevenire un altro Rana Plaza e promuovere cambiamenti positivi, allora abbiamo bisogno di un nuovo accordo firmato da tutti i marchi che producono in Bangladesh».

«Abbiamo contattato Benetton, OVS e Artsana, i marchi italiani firmatari del Bangladesh Accord in scadenza, per chiedere di rinnovare l’impegno per la sicurezza di chi lavora nelle fabbriche dei loro fornitori, in Bangladesh e negli altri paesi a rischio», dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign. «Ci aspettiamo che le imprese italiane non facciano marcia indietro. Senza un nuovo accordo vincolante il rischio di tornare alle condizioni che hanno causato il crollo del Rana Plaza è davvero alto»..

Immagini commemorative dei lavoratori morti nel crollo

Immagini commemorative dei lavoratori morti nel crollo - (Foto: Campagna Abiti Puliti)

Un rinnovato accordo internazionale vincolante sulla sicurezza in Bangladesh - sostengono ong e sindacati - avrebbe anche l’effetto di condizionare altri paesi con fabbriche notoriamente insicure, come il Pakistan, a fare altrettanto. I recenti incidenti in Marocco e in Egitto dimostrano che nell’industria tessile i programmi volontari dei marchi non sono in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori. La Campagna Abiti Puliti ha scritto al Governo, al Parlamento e al Punto di Contatto Nazionale dell’OCSE presso il MISE. Analoghe richieste ai rappresentanti istituzionali dell’Unione.

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