«Nella manovra segnali positivi, ma non basta. Più fondi al sociale»
Moretti, portavoce del Forum del Terzo settore: bene l'innalzamento del tetto del 5xmille. Servono però interventi più strutturali. E via l'Irap per il non profit

«Pace, lavoro, coesione sociale». Sono le tre parole chiave che Giancarlo Moretti, neoeletto portavoce del Forum del Terzo Settore dopo una lunga militanza nel Movimento cristiano lavoratori, pensa siano fondamentali oggi per l’Italia. E che perciò intende porre al centro del suo impegno di rappresentanza. «La pace, intesa in particolare come giustizia e cooperazione, è il terreno sul quale costruire un destino comune di cui dobbiamo farci carico – spiega -. Perciò il Forum è presente in tutte le reti in cui si discute di come costruire la pace e sarà presente a tutte le iniziative per promuoverla». E proprio per questo «uno dei punti più critici della legge di bilancio per noi è la riduzione dei fondi per la cooperazione internazionale. Che invece è lo strumento fondamentale, oltre all’atteggiamento culturale, per favorire la pace, la risoluzione delle controversie e un giusto sviluppo».
Ecco, entriamo subito nel merito della manovra economica: è attenta al Terzo settore e al sociale? Che cosa apprezzate?
Come tutte le altre manovre economiche non è perfetta e questa in particolare mirava soprattutto a contenere il deficit, dunque dispone di risorse limitate. Abbiamo apprezzato certamente l’attenzione ai caregiver, anche se il relativo fondo sarà finanziato concretamente solo dal 2027. Così pure, bene aver alzato il tetto del 5xmille da 525 a 610 milioni. Noi però continuiamo a chiedere l’eliminazione completa del limite, in maniera che tutta l’Irpef che i contribuenti destinano al Terzo Settore arrivi effettivamente dove hanno scelto. Positivo, infine, è l’incremento delle risorse per l’Assegno di inclusione, ma anche in questo caso parliamo di qualche centinaia di migliaia di famiglie raggiunte, quando i nuclei in povertà assoluta sono 2,2 milioni…
Insomma: bene, non benissimo. Che cosa invece proprio non va?
In generale, sul welfare ci si limita a misure temporanee, mentre mancano e sarebbero assolutamente necessari interventi strutturali, in grado di incidere sulle cause delle fragilità e delle disuguaglianze per migliorare la condizione di vita delle persone nel medio-lungo periodo. Nello specifico, sul Terzo settore grava la vera e propria ingiustizia dell’Irap, un’imposta iniqua che paradossalmente pesa molto di più sul mondo del non profit che su quello delle imprese profit. Perché insiste sul personale - e il Terzo settore ha un’alta incidenza di dipendenti, soci-lavoratori ecc. – e perché noi non godiamo di agevolazioni su questa tassa. Perciò il Forum insiste a chiedere che l’Irap venga eliminata per il Terzo settore.
E il Governo che cosa risponde?
C’è sicuramente ascolto, ma non ancora risposte, complicate dal fatto che l’Irap è una misura regionale. Il viceministro all’economia Maurizio Leo e la viceministra al Lavoro Maria Teresa Bellucci, però, hanno assicurato che la questione è sul tavolo, assieme alla sospensione di lungo periodo dell’applicazione del regime Iva, altro tema che pende come una spada di Damocle sul non profit. In questo caso è allo studio un “congelamento” di 10 anni, ma occorre verificarne la fattibilità con l’Unione Europea.

La riforma del Terzo settore è quasi conclusa, ci sono aspetti normativi ancora da sistemare?
È una riforma importante, passata attraverso vari Governi e sostanzialmente completata con l’iscrizione della gran parte degli enti al Runts, il nuovo registro nazionale del Terzo settore. Mancano alcuni chiarimenti in seguito alla Comfort letter con cui l’Unione Europea ha in sostanza riconosciuto la legittimità e l’opportunità di un regime fiscale specifico per il non profit. In sospeso, infine, c’è l’armonizzazione delle norme per le società sportive dilettantistiche, un segmento fondamentale per il benessere dei cittadini e la coesione sociale.
C’è il rischio, però, che il Terzo settore sia sempre più schiacciato nel ruolo di supplenza, per tamponare le emergenze sociali, e così non possa svolgere a pieno il compito di promozione e partecipazione che gli sarebbe proprio in una corretta visione sussidiaria.
Questo è un grande tema. Da sempre il Terzo settore è usato soprattutto come una “stampella” e il nostro welfare avrebbe seri problemi di tenuta senza l’apporto del non profit. Anche per questo servono risorse adeguate: il Terzo settore, oltre ai volontari, conta sull’impegno decisivo di 1 milione di lavoratori che vanno equamente e regolarmente retribuiti. C’è poi un secondo aspetto: quello del riconoscimento del ruolo culturale del Terzo settore, del suo impegno di promozione della coesione sociale. Senza tante associazioni, da quelle piccole di quartiere alle grandi, senza l’impegno di tanti volontari, la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, il Paese sarebbe molto più frammentato, i cittadini ancora più soli e abbandonati di quanto non si percepiscano ora. Il valore proprio del Terzo settore non è ridurre i costi e sopperire alle inefficienze della pubblica amministrazione, ma generare il bene comune all’interno di una concezione plurale e diffusa di ciò che è il bene di tutti.
Il volontariato sta cambiando: ci sono meno giovani impegnati, che si mobilitano episodicamente. E le organizzazioni fanno fatica a coinvolgerli, il Terzo settore deve a sua volta ripensare il suo ruolo e la propria capacità di essere attrattivo?
Altra grande questione. È vero che, quando si partecipa a qualche assemblea e si vedono solo capelli bianchi, viene da pensare a un grande deficit, che è anzitutto demografico. Però poi i giovani – e non da oggi – li trovi a spazzar via il fango dalle strade con gli stivaloni o in pantaloncini corti ad assistere le persone con disabilità… Se li “chiami” con la voce giusta rispondono eccome. Quello del coinvolgimento – a tutto tondo – dei giovani, però, è un problema di tutta la società, non solo del Terzo settore. E dipende molto anche dall’insicurezza delle prospettive – lavorative, economiche, abitative – in cui i ragazzi oggi si trovano a vivere. Dobbiamo da un lato saper agire su questi fattori frenanti e poi sì, certo, anche noi mondo del non profit saperci aprire maggiormente all’apporto che i giovani possono dare.
Come? E un organismo composito come il Forum del Terzo settore che cosa può fare?
Credo che i singoli enti e tutti noi insieme dobbiamo anzitutto riaffermare chi siamo e ricordare la vocazione alla quale risponde il nostro impegno. Poi un’organizzazione come il Forum, in cui convivono tante realtà diverse, deve saper esprimere un’identità collettività, quella del Terzo settore, che ha come perimetro valoriale la pace, la solidarietà, l’inclusione. E come obiettivi la partecipazione, la coesione sociale e il bene comune.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






