Minori in comunità. Il parroco: combattiamo la povertà educativa
I ragazzini tolti alle famiglie: uno di loro è in fuga. Ieri a Milano i funerali di Cecilia De Astis. Don Paolo Steffano cita “Don Raffaè” di De André e «lo Stato che getta la spugna con gran dign

Per i minori coinvolti nell’omicidio stradale di Cecilia De Astis, uccisa lunedì a Milano, è scattata la misura dell’allontanamento dalle famiglie per essere collocati in comunità protette. Per tre di loro, come informa la Polizia locale del capoluogo, che sta compiendo le indagini, il provvedimento, assunto d’intesa con la Procura minorile - che aveva appena avanzato dei ricorsi urgenti a tutela degli stessi ragazzini, e che era in attesa delle decisioni del tribunale -, è stato eseguito tra la serata di mercoledì e l’altra notte dalla Polizia locale con la collaborazione del Pronto intervento minori del Comune di Milano.
Dei tre ricercati, infatti, solo uno è irreperibile, almeno per il momento. Gli altri tre, dopo la tragedia di lunedì, avevano raggiunto il Piemonte. Una minore è stata fermata, con la collaborazione della Polizia stradale del Compartimento Piemonte, sull'autostrada A6 Torino-Savona all'altezza del casello di Fossano (Cuneo), in direzione Ventimiglia. Due fratelli, tra cui il conducente dell'auto che ha provocato il decesso della signora De Astis, sono stati fermati invece in un terreno agricolo di Beinasco (Torino). Il provvedimento d’urgenza, ha spiegato la Polizia locale, «si è reso necessario in quanto le famiglie si erano allontanate dal luogo di dimora senza comunicare le loro intenzioni, nonostante la buona collaborazione nelle indagini iniziali».
Ieri circa 200 persone hanno preso parte ai funerali di Cecilia De Astis, nella chiesa di San Barnaba. «Gesù, con il suo amore – ha detto nell’omelia don Davide Bertocchi –, ha insegnato che gli unici nemici sono la morte e il male. Nessuna persona è da considerare nemica. Questo è il più grande insegnamento di Gesù. Anche se queste persone sono imprigionate dal male... Tanto meno bambini ai quali è stata negata l’infanzia e per i quali possiamo solo pregare e sperare che finalmente trovino qualcuno che sappia insegnare loro l’amore che vince il male». Durante il rito funebre, il parroco della comunità pastorale del Gratosoglio, don Paolo Steffano, ha sottolineato che «c’è speranza. E dove non la vediamo andiamo a cercarla. Dai diamanti non nasce niente. Dal letame nascono i fiori e noi qui a Gratosoglio sicuramente non abbiamo diamanti. Ma abbiamo molti fiori, non dimentichiamoli. E se non li vediamo, andiamo a cercarli. Non servono gli scatti di rabbia». Il sacerdote ha parlato di «indignazione» che «abbiamo tutti. Ma non serve la rabbia. Non servono i discorsi, i proclami, tantomeno lo scaricabarile, lo scarico di responsabilità. Non servono neppure i documenti sulle periferie, nemmeno le encicliche sulla convivenza pacifica. Servono fatti concreti. De André – ha dichiarato don Steffano senza mezzi termini –, nella canzone “Don Raffae’’, diceva “prima pagina, venti notizie, ventuno ingiustizie, lo Stato che fa, si costerna, si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. Abbiamo bisogno, riprendendo le parole del nostro arcivescovo, di uomini e donne dal fuoco dentro, concrete - ha osservato -, che abitano e vivono la nostra realtà, non che parlano. Persone che però non stanno in silenzio, che agiscono nel concreto. E quando cercano di farci tacere, come dice Gesù su Gerusalemme, grideranno le pietre». Insomma, «ecco a me piace immaginare che Gratosoglio ha bisogno di istituzioni, di privati che investano con continuità sulla povertà educativa, sulla scuola, su associazioni sportive, cooperative di quartiere e parrocchie. Ma tutto questo lo vorrei affidare a Cecilia. Cecilia, mi permetto di affidarti le nostre speranze», ha concluso il sacerdote, ringraziando anche i parenti della vittima per non essersi fatti prendere dalla rabbia.
«Insieme abbiamo condiviso grandi dispiaceri ma anche momenti belli che ci aiuteranno a sopportare un dolore misto a rabbia per il fallimento del sistema della società di cui sei stata vittima»; è stato il ricordo di Lina De Astis, durante i funerali della sorella. Per il figlio della donna uccisa, Filippo Di Terlizzi, occorre «fare qualcosa come Paese, dobbiamo prevenire questi eventi traumatici. Non è una morte casuale e poteva benissimo essere evitata. Ci vuole maggiore controllo del territorio» ha aggiunto, evidenziando che, comunque, quelli che hanno investito la sua mamma «sono dei bambini, non avevano neanche 14 anni. Non possiamo mettere sulle loro spalle tutte la responsabilità del gesto».
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