L'ultimo femminicidio ci dice che non servono leggi senza una risposta sociale

A Foggia una donna è stata uccisa nonostante fossero già scattati allarmi: fermato l'ex compagno. Il problema ormai non è il complesso di norme, ma la mancata mobilitazione degli attori sociali
August 6, 2025
L'ultimo femminicidio ci dice che non servono leggi senza una risposta sociale
Ansa | Le forze dell'ordine nel quartiere di Foggia in cui si è consumato l'ultimo femminicidio
È stato rintracciato a Roma il presunto autore dell'omicidio della cittadina marocchina di 46 anni uccisa a Foggia mercoledì notte con alcune coltellate nei pressi della sua abitazione. L'uomo, ex compagno della vittima, è stato individuato dalla polizia e, a quanto si apprende, aveva ancora gli abiti sporchi di sangue. Sull'uomo pendeva già da maggio scorso, da quando cioè la donna lo aveva denunciato, un provvedimento di divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico, ma quest'ultimo non era stato applicato per problemi tecnici. La misura era stata aggravata a luglio con l'emissione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere non ancora eseguita perché la persona, un cittadino marocchino regolare in Italia, è senza fissa dimora e dunque risultava irrintracciabile. Si tratta dell'ultimo femminicidio, che ha fatto scalpore e provocato sdegno nella città pugliese. Per la sindaca di Foggia, Maria Aida Episcopo, si tratta di «una sconfitta per tutti». Novità anche sulla morte di Stefano Argentino, il 27enne detenuto per il femminicidio di Sara Campanella, di 22 anni, che sempre mercoledì si è tolto la vita nel carcere di Messina. La Procura di Messina ha disposto il sequestro della salma del ragazzo. Secondo quanto si è appreso sarà disposta l'autopsia nell'ambito del fascicolo di inchiesta aperto, che al momento è senza ipotesi di reato e senza indagati. Le indagini coordinate dalla Procura di Messina, diretta da Antonio D'Amato, puntano a fare chiarezza sull'esatta dinamica dell'accaduto. Accertamenti saranno eseguiti anche sulla perizia medica che ha permesso il "declassamento" del livello di sorveglianza nella struttura penitenziaria di Gazzi nei confronti di Argentino.

Due nuovi casi, in parte speculari di violenza di genere estrema, appena mercoledì scorso. A Foggia una donna, in teoria sotto protezione della polizia, viene accoltellata nonostante “Codici Rossi” e altri dispositivi di allarme e soccorso che pure erano scattati. Aveva chiesto aiuto ed era andata incontro, dopo le rassicurazioni di rito delle autorità, al suo destino. E sempre al sud, il secondo episodio, seppure qual effetto collaterale del femminicidio commesso a marzo. Nell’isola di Sicilia il giovane accoltellatore reo confesso della studentessa Sara Campanella, si è impiccato nella cella dove era recluso.
Nell'arco di meno di una settimana il messaggio che si voleva rassicurante del Parlamento, cioè l'approvazione delle pene inasprite nel codice dei delitti, insieme un cospicuo investimento monetario per prevenire e soccorrere, si indebolisce di fronte alla frustrazione dolorosa di nuove morti annunciate e non evitate. L'assassino elude la vigilanza a Foggia e consuma la sua vendetta. L'imputato dell'episodio di Messina finisce ai margini del trattamento penitenziario e si suicida. La catena della responsabilità organizzativa e sociale si spezza, ancora una volta, nel punto più fragile.
Questi due eventi, speculari e dall’obiettiva potenza simbolica, sembrano dissolvere l'effetto annunciato dalla nuova legge in gestazione: misure cautelari accelerate, rafforzamento operativo per la polizia giudiziaria, sportelli di ascolto, obblighi formativi per gli operatori, strumenti tecnologici di monitoraggio, corsie preferenziali nel processo penale e altro ancora, compresi parecchi milioni di euro stanziati ad hoc.
Andiamo a una conclusione drastica. L'illusione legislativa di una deterrenza affidata alla severità della repressione a nulla vale mentre la violenza è in incubazione. Anzi, possiamo sostenere che le parole di soddisfazione dei legislatori per l’unanimismo nel voto si risolvano in un contrappasso beffardo: lo smarrimento della responsabilità pragmatica nelle organizzazioni che provvedono alla sicurezza dei cittadini. Tarda l’agire d’iniziativa del servizio e, ancora prima, prosegue il sonno dell'intelligenza di chi osserva, informa e commenta.
Il femminicidio, come ha rivelato a giugno la fine atroce di una bimba e della madre a Villa Pamphili, a Roma, si conferma come un disastro sistemico. Dopo una fase di incubazione – spesso anche lunga e senza che i segnali deboli vengano colti – si arriva all’epilogo, con lo stesso sconcertante copione che Garcia Marquez racconta in Cronaca di una morte annunciata. Tutti gridano all’allarme, ma lo spettatore resta inerte. E così la sequenza delle violenze sulle donne, con i femminicidi qual punta estrema, non è impedita dall'ottusità delle organizzazioni, dei mass media, dalla vanagloria della politica e dal bystanders effect, l’apatia dello spettatore. Non resta che una commissione d'inchiesta con i poteri dell'autorità giudiziaria a diffondere comunicati trionfalistici. Che si sciolgono come neve al sole nel giro di pochi episodi di cronaca.
Conviene guardare da vicino cosa si ha a disposizione e ricavare qualche essenziale insegnamento dall’esperienza. Perché è illusorio pensare che la deterrenza penale basti, come se la minaccia della punizione contenga l'impulso omicida. La violenza contro le donne non è solo un crimine: è un disastro sistemico, come lo definiva il sociologo Barry Turner. Un disastro umano di origine sociale e organizzativa, preceduto da anomalie e segnali trascurati, favorito dall'inerzia collettiva.
Nel femminicidio, il problema non è solo "cosa non è stato fatto". È "come si continua a non vedere". Circolano modelli culturali tossici, con effetti dirompenti nell'immaginario maschile, veicolati con i social, la musica trap, la pornografia. Essi normalizzano l'oggettivazione delle donne. Autrici come Martha Nussbaum hanno rivelato e descritto anche l'autoggettivazione femminile, spesso l'altra faccia di una relazione fondata sul dominio. Si ripetono, inascoltate, le denunce sulla solitudine dei ragazzi, sulla mancanza di alfabetizzazione affettiva, sui principali fattori predisponenti. Ma ben poco si muove.
La legge potrà incidere, se accompagnata da cambiamenti pratici delle organizzazioni (sanità, forze dell’ordine, scuola, media), oltre a venir sostenuta da un'etica del servizio pubblico e da un'intelligenza situazionale. Si esce dal buio, insomma, con una risposta sociale attiva, dove il diritto si integra con la responsabilità relazionale e l’ascolto, seguendo modelli che permettano di vedere il disastro mentre si forma, caso per caso, e di fermarlo.

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