Landini: con il voto più diritti e tutele contro la precarietà

Il leader della Cgil: "Vogliamo reintrodurre il principio essenziale che è il diritto ad esser reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Paradossale la scelta di M
June 4, 2025
Landini: con il voto più diritti e tutele contro la precarietà
IMAGOECONOMICA | Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini
Domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15 si vota per cinque referendum. I primi quattro riguardano materie di lavoro e sono stati promossi dalla Cgil e altri soggetti che hanno raccolto oltre 4 milioni di firme. Il quinto è sulla cittadinanza. Perché l’esito del referendum sia valido occorre comunque che esprimano il loro voto almeno il 50% più 1 degli aventi diritto. Qui presentiamo le ragioni del "sì" alla consultazione referendaria con Maurizio Landini, leader della Cgil. In un'altra intervista le ragioni del "no" con la voce di Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro all'Università Bocconi.
Maurizio Landini è il segretario generale della Cgil che ha fortemente voluto e promosso questa tornata referendaria sui quesiti del lavoro (e ha aderito anche alla campagna per il quinto quesito relativo alla cittadinanza degli stranieri residenti in Italia).
Segretario, perché la Cgil ha scelto di promuovere questi referendum? Che cosa vi ha mosso, vi ha fatto decidere per un’azione politica più generale, non tipicamente sindacale come una consultazione referendaria?
Perché la cultura politica e la legislazione italiana sul lavoro nel corso degli ultimi anni è regredita e peggiorata: rendendo le persone precarie, insicure. Sono esposte a rischi sul versante della salute sul lavoro. Sono leggi scritte e approvate da Governi di tutti gli schieramenti che hanno svilito il lavoro e nessuno in questi anni è riuscito ancora a cambiarle. Sono leggi che, riducendo i diritti, limitano anche la nostra stessa azione sindacale e non possiamo più stare fermi ad aspettare. Queste sono le ragioni che ci hanno mosso e le cittadine e i cittadini l’8 e il 9 giugno hanno l’opportunità di cambiare queste leggi direttamente e di ricostruire un nuovo rapporto tra lavoro e azione politica. In una battuta, diventeranno parlamentari per un giorno.

L’occupazione è in costante aumento, in particolare per quanto riguarda i contratti a tempo indeterminato. Voi, però, sostenete che c’è ancora troppa precarietà. È questa che intendete contrastare con i referendum? Non si rischia invece così di “ingessare” il mercato del lavoro facendo diminuire le opportunità di occupazione?
Uno degli errori peggiori compiuti in questi ultimi anni è stato pensare che la flessibilità potesse risolvere tutti i problemi del nostro mondo del lavoro. In realtà questo modello da una parte ha inciso negativamente sull’economia del Paese, dall’altra ha peggiorato le condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone. Questa è una delle ragioni per le quali tantissimi giovani vanno via dal nostro Paese per cercare condizioni di lavoro e di vita migliori. Per cui, secondo noi, la situazione può solo migliorare se vincessero i sì.

E veniamo al merito. Il quesito relativo ai licenziamenti nelle grandi imprese porterà davvero a una maggiore tutela con la reintegra nel posto di lavoro di chi è stato licenziato in maniera illegittima? O l’impatto sarà limitato, vista la stratificazione di leggi e sentenze della Corte costituzionale che sono intervenute negli anni sulla materia?
La Corte Costituzionale, nonostante i cambiamenti apportati, non ha reintrodotto il diritto al reintegro nel caso di licenziamento disciplinare ingiusto, per chi viene licenziato ingiustamente per ragioni economiche e per i licenziamenti collettivi ingiusti. Noi vogliamo reintrodurre un principio essenziale che è il diritto ad essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Per questo vogliamo estendere, attraverso questo referendum, a tutte e tutti le lavoratrici e i lavoratori questo diritto non riconosciuto dal Jobs act: è l’unico modo di evitare qualsiasi tentativo di mercificare il lavoro attraverso il pagamento di un semplice indennizzo.

Con il secondo quesito si vorrebbe eliminare il tetto massimo di 6 mensilità per i risarcimenti in caso di licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese. Perché? Non si rischia di gravare in maniera spropositata sulle piccole imprese che, a differenza di quelle grandi, non avrebbero più un tetto massimo?
Perché vogliamo aumentare le tutele per quei dipendenti che spesso subiscono la minaccia del licenziamento a fronte della richiesta di carichi di lavoro maggiori e non sicuri. Attribuire al giudice la determinazione dell’importo risarcitorio consente di differenziare in funzione sia della condizione del lavoratore che della stessa azienda. Parlare di aziende con pochi dipendenti non sempre vuol dire discutere di aziende con un basso fatturato. La differenza, sostanziale, con le grandi imprese a quel punto diverrebbe esclusivamente la presenza o meno del diritto al reintegro. Con una maggiore equità tra lavoratori.

Chiedete anche di reintrodurre l’apposizione di una causale per il ricorso ai contratti a termine inferiori a un anno. Ma questo non frenerà le assunzioni regolari, in particolare di giovani? Oggi lavora a termine circa il 15% dei dipendenti, è una percentuale in linea con quelle degli altri Paesi europei…
Quella quota del 15% non fotografa ciò che sta accadendo: gli avviamenti al lavoro con contratti a termine hanno riguardato 3,7 milioni di persone e in alcune attività, dai servizi fino all’università, sono i contratti prevalenti. Del resto, c’è una generazione di giovani e giovanissimi che con questo modello passa da un contratto a termine a un contratto di somministrazione, da uno stage a un contratto di collaborazione. In una condizione di precarietà non solo sostanziale, ma anche esistenziale in una spirale perversa che dobbiamo interrompere, Tanto in Italia quanto, credo, in Europa. Non possiamo girarci da un’altra parte rispetto a tutto ciò, lo dobbiamo soprattutto a loro, alle generazioni più giovani e chi entrerà nel mercato del lavoro nei prossimi anni. Noi vogliamo che il contratto a tempo determinato rappresenti un’eccezione e non la regola.

Ancora, riguardo al quesito sulla corresponsabilità del committente, questa è già prevista in maniera generale. Il referendum insiste su un caso molto specifico, quello in cui il committente opera in un settore diverso da quello della società in appalto. Perché è utile questa estensione? Volete scoraggiare le esternalizzazioni e gli appalti?
Oggi, attraverso la logica del massimo ribasso nel sistema degli appalti, si realizza un modello di impresa sbagliato che sacrifica diritti, tutele e soprattutto la salute e la sicurezza a favore dei profitti. Papa Francesco ci ha insegnato che “la vita non si smercia per il profitto”. Molti degli infortuni e delle morti sul lavoro si realizzano proprio nel processo di appalti e subappalti, le peggiori tragedie a cui abbiamo assistito negli ultimi anni hanno riguardato appalti in capo a grandi aziende. Non possiamo accettare che muoiano tre persone al giorno, il triplo rispetto a ciò che accade in Germania, senza cambiare nulla.

C’è infine anche il quesito sul dimezzamento dei tempi per la cittadinanzaper le persone straniere che vivono stabilmente nel nostro Paese. Perché secondo la Cgil sarebbe utile questa riforma?
Ci sono tantissime donne e uomini che lavorano e vivono da anni nel nostro Paese a cui neghiamo diritti basilari. Ritardare l’acquisizione della cittadinanza è una chiara ingiustizia nei loro confronti. Solo attraverso l’inclusione possiamo superare parte delle grandi sfide che abbiamo davanti, a cominciare dalla crisi demografica che stiamo vivendo in un Paese che invecchia sempre di più, dove i giovani che vanno via sono più numerosi di quelli che arrivano, dove lo stesso mercato del lavoro chiede più lavoratori.

Nelle consultazioni referendarie si può votare sì o no, ma è legittima anche la scelta dell’astensione. Così, ad esempio, ha deciso di fare buona parte del Centrodestra e, in maniera particolare, la stessa Presidente del Consiglio. Perché voi invece contestate questa opzione sul piano generale, al di là delle ragioni specifiche per il sì che avete avanzato?
In un Paese in cui la metà degli aventi diritto non va più a votare, utilizzare l’astensione come arma politica è molto pericoloso. Ed è il contrario di quello che ha chiesto a tutti il Presidente della Repubblica lo scorso 25 aprile, ricordandoci che la partecipazione politica e il voto sono la base per l’esistenza della democrazia e della libertà. C’è un’idea elitaria della partecipazione politica che si vuole imporre e che contrasta con la nostra Costituzione. Per questo ritengo sorprendente e paradossale la scelta di Giorgia Meloni di recarsi al seggio senza ritirare le schede: si ha paura della partecipazione e di cosa pensano le cittadine e i cittadini, si ha paura del cambiamento. A questo approccio, noi contrapponiamo un’idea opposta: dobbiamo incentivare in tutti i modi l’affluenza e convincere a votare i milioni di persone che hanno smesso di farlo: ci rivolgiamo principalmente a loro.

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