La rivoluzione dei valori di Ernesto Pellegrini
Paola Severini Melograni: «Con la sua fondazione dà aiuto concreto a chiunque si trovi in situazione di difficoltà. Per esempio con Ruben, un ristorante solidale a Milano»

«A Paola, con stima e affettuosa scoperta». Queste è la dedica che nel luglio del 2023 mi fece Ernesto Pellegrini sul suo libro Una vita, un’impresa, pubblicato da Mondadori. Quel libro ha un sottotitolo: "Grazie all’Inter ho trovato il senso vero della fede". Questa mattina, quando ho saputo della sua scomparsa, ripensando a tutta una serie di coincidenze, mi ha colpito ripensare a quanto quel titolo racchiudesse. Mi ha emozionato il pensiero che sia capitato in un momento in cui la sua Inter si sarebbe giocata un pezzo della sua storia. E mi ha commosso ancora di più venire a saperlo mentre io e la squadra di O anche no siamo impegnati nella seconda edizione del Festival Calcio Comunità Educante, una tre giorni dedicata al calcio come patrimonio sociale, etico, di inclusione, nata su ispirazione della trasmissione che ho ideato e conduco su Rai 3 da sei anni. Un programma che non è solo un format televisivo unico in Europa ma negli anni è stato capace di diventare una vera e propria comunità.
Quella parola – “fede” – che in molti modi ha con questo festival una comune visione di intenti, un’idea di inclusione che si fa azione concreta, esperienza condivisa e crescita collettiva. Il calcio, in questo contesto, non è solo sport, ma uno strumento di dialogo, partecipazione e inclusione. E qui veniamo al motivo per cui in quel giorno di luglio 2013 mi ritrovavo nell’ufficio di Ernesto Pellegrini. Ero lì con la troupe per intervistare sua figlia, Valentina Pellegrini, cui va ora il mio pensiero e il mio affetto. Il motivo dell’intervista era Ruben, un ristorante solidale a Milano. La Pellegrini è infatti da sempre stata impegnata nel promuovere e sostenere progetti concreti per il sociale per mezzo della Fondazione Ernesto Pellegrini Onlus, nata nel 2013 con il proposito di fornire aiuto concreto a chiunque si trovi in situazione di difficoltà. Per questo ha dato vita a Milano a questo ristorante speciale, sostenendo parallelamente altri progetti per il sociale.
Valentina Pellegrini in quell’occasione mi ha raccontato del “ritorno” di Ruben non in termini economici ma di «sentimento», mi ha raccontato delle «emozioni che regalano le famiglie in difficoltà ogni giorno ospitate da Ruben», mi ha parlato di «relazioni umane significative» e dell’importanza dei volontari, capaci di accompagnare queste famiglie nei percorsi di ripartenza. Il nome del ristorante è ispirato a una persona che ha vissuto come lavorante nella cascina di Ernesto Pellegrini e che, trovandosi senza più una casa negli anni Sessanta, in seguito all’esproprio dei terreni della Cascina, è morto di freddo nella sua baracca di lamiera. Il fondatore del Gruppo, Ernesto Pellegrini, non lo dimenticò mai e proprio alla sua memoria volle intitolare un luogo pensato per tutte le persone che si trovano in una situazione di difficoltà. Queste le parole che mi disse Ernesto per raccontare la vision e la motivazione che lo guidavano: «Vorrei aiutare qualcuno dei tanti Ruben che, per una ragione o per l’altra, vivono il loro momento di difficoltà e disagio».
Quella visione è proseguita in Valentina, che quel giorno ci raccontò come nacque il progetto che ha sostenuto nel tempo più di 9.000 storie di disagio, portando molte persone a uscire dalla difficolta, con un sostegno nei percorsi di ripartenza, perché il lavoro ritrovato è l’unico strumento per poter ritrovare un posto nella società e non scivolare nell’assistenzialismo: «Ci avvicinavamo – mi disse Valentina Pellegrini – al 50° anniversario della nostra azienda e forte era il desiderio di creare qualcosa di eticamente bello, che ci permettesse di celebrare la ricorrenza, ma anche restituire in senso cristiano il tanto che la vita ci aveva dato». La cosa più importante che mi raccontò quel giorno Valentina Pellegrini [l’intervista si può rivedere su Rai Play, in O anche no del 6 novembre 2023, ndr], fu però un’altra. Mi disse infatti di come il Gruppo Pellegrini fosse in qualche modo un osservatorio sociale e mi parlò non di ultimi ma di «penultimi». Un’altra riflessione va fatta sulla scelta di dare, con dignità, delicatezza, ma soprattutto con regole e professionalità, un tema fondamentale per il lavoro sociale, che non va mai improvvisato, perché il bene collettivo, come diceva San Giovanni Bosco, si deve fare bene.
Ernesto Pellegrini ha portato avanti per tutta la sua vita una rivoluzione dei valori che vale in ogni ambito, come mi ha detto qui al Festival Calcio Comunità Educante il presidente dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio Renzo Ulivieri, parlando di lui: «È stato un presidente umano, riconosciuto dai suoi calciatori e riconosciuto dagli alti dirigenti. Umano vuol dire anche di grande generosità, che non significa buttare via i soldi, ma impegnarli in ambito sociale; questa è la caratteristica che contraddistingue la vita di quest’uomo di grande generosità. Lui tendeva a una specie di eguaglianza nei rapporti». Abbiamo ricordato commossi la sua figura qui al Festival, sul campo da calcio di San Patrignano, dove ogni filo d’erba è interista, insieme alla squadra Inter Special.
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