La droga e il vuoto: i ragazzi che don Andrea prova a salvare

Ritorno a Borgo Roma, il quartiere difficile dove era nata e cresciuta Nora, la 15enne morta di overdose a fine gennaio. L'emergenza adolescenti, la sfida di chi li accoglie
April 21, 2025
La droga e il vuoto: i ragazzi che don Andrea prova a salvare
V.D. | L'oratorio della chiesa di Gesù Divino Lavoratore a Verona
«Don, ma perché quelli che vanno in chiesa non ci salutano?». Il gruppo dei ragazzi è riunito sulla panchina davanti alla chiesa. Parlano ad alta voce, giocano a pallone disturbando i passanti, ascoltano la musica a palla coi telefonini. Sono una quindicina, la sera arrivano a trenta e più: italiani, africani, marocchini, latinos. Il più grande ha 16 anni, il più piccolo forse 12. Siamo a Borgo Roma, periferia di Verona, un punto imprecisato della linea 21 che parte dalla stazione ogni 15 minuti col suo carico di multietnicità e di preoccupazione: l’autobus attraversa gli storici quartieri operai della città, oggi forse più poveri di allora, per finire la sua corsa davanti all’ospedale della città.
La parrocchia, a metà percorso, è quella del Gesù Divino Lavoratore: un edificio imponente, un po’ sinistro. Il prete è don Andrea Ronconi, classe 1971, da sempre in prima linea coi ragazzi “difficili”. A fine gennaio è finito sui giornali e le tv locali per essersi preso a cuore la vicenda di Nora, la giovane di appena 15 anni che proprio a Borgo Roma era nata e cresciuta e che è morta di overdose in un casolare abbandonato poco fuori Verona. Una delle tante vite interrotte dalla droga (a proposito: sono 24 da inizio anno, anche se nessuno ne parla) che qui – ripetono i vecchi – c’è sempre stata, ma che oggi passa per lo più attraverso le mani dei “pesci piccoli”. Dove può fare malissimo. Nora l’ha uccisa. Gli altri li prende, li stravolge, li conduce dritti in carcere prima dei 18 anni. E tra questi, spesso, ci sono stati e ci sono i ragazzi della panchina del don.

Il parroco del Gesù Divino Lavoratore
ha accettato di seguire la messa alla prova
di un gruppo di giovanissimi
arrestati per spaccio: «Possono cambiare»

«Non vi salutano perché fate casino, perché lasciate sporco, perché a volte bestemmiate» dice il don con un mezzo sorriso di rimprovero. Qualcuno ride, qualcuno sbuffa, tutti sanno che ha ragione: in passato l’oratorio (che conta su due campetti da calcio illuminati fino a sera, anche d’inverno, «se sono qui so che non fanno disastri altrove») il sacerdote qualche volta l’ha chiuso proprio per eccesso di bestemmie. O perché non si tenevano addosso le magliette. Una volta, perché è sparito un cellulare: « Era l’estate degli Europei di calcio, avevamo messo un maxi-schermo di fianco alla chiesa e permettevamo a tutti di venire a vedere le partite e tifare insieme – racconta –. A un certo punto la doccia fredda del furto e la mia decisione che li ha lasciati senza parole: niente finale, se il cellulare non tornava al suo proprietario. Qualche ora dopo eccolo spuntare sul mio tavolo».
Don Andrea Ronconi - V.D.
Don Andrea Ronconi - V.D.
Marachelle? Nient’affatto. Dal Covid in avanti il gruppo s’è allargato a dismisura e alcuni ragazzi hanno cominciato a delinquere in maniera seria: furti, estorsioni, spaccio. Si sono dati anche un nome, i Qbr, l’acronimo di “Quei bravi ragazzi”, ma anche di “Quartiere Borgo Roma”: un marchio da gang, scritto sui muri, usato sui social. « Nel 2022 la prima retata: ne hanno arrestati 16 in un colpo solo» ricorda don Andrea. Con accuse pesantissime.
In carcere, a Montorio, hanno chiesto subito di vedere il “loro don”. Lui ci è andato senza battere ciglio. Lì è nata l’idea anche di farsi avanti come garante per i percorsi di messa alla prova pensati per alcuni di loro: alla firma per l’accordo con il Tribunale e i Servizi sociali s’è presentato il sacerdote, i primi ragazzi che sono usciti hanno iniziato a lavorare tra la parrocchia e l’oratorio. Che per loro è anche una casa: « Il filo rosso che li accomuna è la fragilità delle famiglie che hanno alle spalle – continua il don – e quelle famiglie io le conosco tutte. Spesso c’è solo un genitore, che quasi sempre è la madre, e altrettanto spesso in casa vivono i fidanzati delle sorelle, le famiglie dei cugini o degli zii lontani. Gli adolescenti, in contesti di questo tipo, sono quasi del tutto invisibili: nessuno si occupa di loro, nessuno si preoccupa del rendimento scolastico o del fatto che ci vadano, a scuola».
E loro, i ragazzi, sognano le scarpe e le maglie firmate, che costano tanti soldi, i soldi facili che si fanno solo con la droga. Alla prima messa in prova hanno partecipato Juri e Mohamed. Juri era il capo della banda, il vero “cattivo”. Una parola che per don Andrea non esiste: « Molti mi chiedevano se non avevo paura, se non ero un po’ matto a prendermi a cuore dei ragazzi così “cattivi”. Il punto è che loro non sono cattivi, i cattivi ragazzi non esistono. Esistono ragazzi che fanno cose cattive, o che le hanno fatte, ma che possono farne anche di buone». La sfida di guardarli con gli occhi di Dio, e non con quelli degli uomini, è la rivoluzione che la giustizia nel nostro Paese non riesce ad accogliere: punirli e basta, rinchiuderli nelle carceri minorili più che mai sovraffollate e pensare di poter buttare la chiave, non risolve nulla. Quando escono, ricominciano daccapo a delinquere, perché conoscono solo quella strada.
«Io provo a insegnare loro una cosa molto semplice: che si può riparare al male facendo il bene, di più, che si può riparare col bene lì dove si è fatto il male» spiega don Andrea. Dove il “bene” sono le aiuole piene di primule, coltivate con cura da Juri nel parco giochi riqualificato dietro l’oratorio in cui i bambini giocano e le mamme sulle panchine sorridono. O le cicche di sigarette e le cartacce lasciate attorno alla chiesa, che Mohamed raccoglie una ad una in un rito studiato nei dettagli che si ripete uguale tutte le mattine: le anziane signore, che col passare delle settimane hanno imparato a conoscerlo, adesso sì che lo salutano. E lui per la prima volta si sente guardato, apprezzato, si sente qualcuno. È la strada dell’educazione, «l’unica possibile – insiste don Andrea –, l’unica che porta frutto: loro, Juri e Mohamed, hanno capito che possono essere altro, che possono essere utili e avere un ruolo nella vita della comunità in cui vivono. Gli altri ragazzi della banda, vedendo quelli che prima erano i loro capi diventare volontari e cambiare in questo modo, restano scossi, si interrogano. Alcuni decidono di seguirli: dopo di loro ne ho avuti altri 4 in messa alla prova. Altri per la prima volta toccano con mano che c’è un’altra possibilità».

Le storie di rinascita di Juri e Mohamed:
l’impegno in oratorio, la sensazione
di non essere più invisibili.
E l’esempio che sono diventati per tutti gli altri

Il sacerdote non è da solo: accanto a lui c’è un seminarista, Simone, i volontari della parrocchia, mentre a Borgo Roma ci sono anche l’Educativa di strada dei Servizi sociali, il Comune, il Gruppo San Vincenzo, le associazioni sportive e di teatro, tutti al lavoro in rete per offrire occasioni di incontro e di ascolto dei ragazzi. I ragazzi li vanno a cercare al parco, si siedono con loro, organizzano tornei, propongono attività. In oratorio, poi, orbitano quasi un centinaio di adolescenti “normali”, che diventano più di 300 d’estate col Grest, ed educare significa aprire la porta a tutti, invitarli insieme ai ragazzi della panchina alle merende, o alle spaghettate, spiegare ai genitori preoccupati che ci si salva soltanto tutti insieme.
«Nora no, non siamo riusciti a salvarla. In parrocchia non era passata mai. Quando sono venuti a dirmi che era morta, che sua mamma viveva a duecento metri dalla chiesa, ho deciso che dovevo andare a trovarla e farmi carico di tanto dolore». Il gesto di don Andrea ha unito la comunità musulmana e quella cristiana, il prete è stato poi invitato in moschea per i funerali della quindicenne, ha fatto il suo coraggioso appello ai presenti: sentirsi corresponsabili nell’educazione dei giovani per offrire loro un futuro migliore. Poi la preghiera in stazione, dove per l’occasione da Roma è arrivato un altro sacerdote in prima linea contro la droga, don Antonio Coluccia: « L’ho raggiunto e mi sono presentato. Ha detto cose che condivido. Il mio pensiero però era fisso su Moussa, il giovane di 19 anni che proprio lì è stato ucciso a fine ottobre da un agente che aveva aggredito. Un ministro disse, di lui, che non gli sarebbe mancato. A me invece, che pure non lo conoscevo, manca ogni giorno. È un altro ragazzo che non siamo riusciti a salvare».

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