La Corte Ue ha solo detto no alle scorciatoie se si tratta di diritti umani
Per i giudici europei il giudice deve poter verificare se l’attribuzione di “Paese sicuro” sia valida per il caso specifico. Nel rispetto dei diritti fondamentali di ciascuna persona

Sostenere che la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea “smonta” il cosiddetto modello Albania costruito dall’attuale Governo italiano (e per altro apprezzato da altri partner dell’Ue, nonché dalla stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen) corrisponde a verità, ma non esaurisce i termini della questione. Una questione che va oltre le politiche migratorie di un singolo esecutivo nazionale e ha a che fare con principi di diritto superiori. Anzi precedenti, nel senso che vengono prima. Lo Stato di diritto, infatti, si fonda sul principio che la legge nasce per tutelare il singolo dal possibile arbitrio del potere costituito. Lo stesso potere che viene suddiviso proprio per scongiurare concentrazioni e abusi. Ce l’ha ricordato con la consueta chiarezza, appena qualche giorno fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Da L’Esprit de lois di Montesquieu si ha consapevolezza, tradotta nelle Costituzioni democratiche, di come libertà e uguaglianza trovino garanzia nella distribuzione tra le istituzioni delle varie funzioni di potere e della decisiva importanza dei contrappesi e dei controlli». Ecco, la Corte di giustizia Ue ha soltanto ribadito che, per rispetto dei diritti fondamentali di ciascuna persona, il giudice deve poter verificare se l’attribuzione di “Paese sicuro” stabilita con un atto legislativo sia valida per il caso specifico. Ed era ciò che sostenevano i tribunali italiani prima che il nodo approdasse, appunto, ai giudici di Lussemburgo e ogni decisione venisse sospesa in attesa di questo pronunciamento.
Così come allora si era riacceso lo scontro tra la maggioranza politica e la magistratura associata, ieri da Palazzo Chigi e da destra sono fioccate le accuse sulla Corte europea. Si è parlato addirittura di invasione degli spazi di autonomia di Governo e Parlamento, di violazione della sovranità nazionale, di «umiliazione degli italiani» da parte di un’istituzione «dannosa». In realtà la Corte ha esercitato una delle sue funzioni, ovvero quella di pronunciarsi sull’aderenza delle leggi nazionali al diritto dell’Unione. Nel dettaglio, i giudici europei non hanno negato la facoltà dei singoli Stati di definire «sicuro» il Paese di origine del migrante, ma hanno semplicemente osservato che, per essere considerato tale, quel Paese deve offrire «una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione». In non pochi luoghi del mondo, del resto, è possibile che, anche laddove la maggior parte della popolazione può considerarsi tutelata dalle leggi, gruppi di cittadini siano discriminati e messi a rischio a motivo della loro appartenenza etnica, della loro fede religiosa, del loro orientamento sessuale, delle loro idee politiche. E non convince la tesi secondo cui, in questo modo, c’è il pericolo che nessun Paese possa più essere considerato sicuro. Può esserlo per alcuni e non per altri, in base alle condizioni personali. Da qui la necessità di una verifica. Certo, occorrerà uno sforzo, anche da parte della magistratura, per accelerare le procedure e prendere in tempi accettabili le dovute decisioni. Ma la scorciatoia non è mai la strada migliore, quando si tratta di diritti umani.
D’altra parte, esistono ancora Stati in cui chiunque può liberamente circolare, lavorare, studiare, esprimersi senza rischiare di essere ucciso, incarcerato o perseguitato per ciò che è. Però in genere da questi Stati non si fugge, tutt’al più ci si sposta per lavoro, studio o turismo. E non si chiede protezione internazionale allo Stato in cui si arriva. Il problema, semmai, è che questo tipo di Stati, quelli cioè dove la legge ancora svolge la funzione di tutelare il singolo (tutti i singoli) dagli eventuali abusi del potere, sono sempre di meno. La rarefazione dello Stato di diritto (e quindi delle democrazie sostanziali, non soltanto formali) è stata causata negli anni, per lo più, proprio dall’approccio muscolare dei fautori dei governi “forti”, che vorrebbero eliminare o ridurre all’irrilevanza le autorità sovranazionali, sognano giudici sempre allineati alle loro convinzioni e amano i parlamenti nazionali soltanto quando sono disposti a lavorare poco e magari “sotto dettatura”.
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