«Il rischio di diventare un Paese chiuso»

«La rissa in aula, al Senato, durante la discussione dello Ius Soli è una delle pagine più tristi per la nostra legislatura»
June 16, 2017
«Il rischio di diventare un Paese chiuso»
«La rissa in aula, al Senato, durante la discussione dello Ius Soli è una delle pagine più tristi per la nostra legislatura». Monsignor Guerino Di Tora presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale Cei per le migrazioni commenta così il giorno dopo gli insulti, i cartelloni da stadio e gli spintoni passati in 'mondovisione' dall’aula del Senato contro la legge sulla cittadinanza di 'italiani stranieri'.
Perché si arriva a tanto, secondo lei?
Si possono avere idee diverse. Ma il Parlamento è fatto per discutere, dialogare e vedere punti di differenze. Quando si arriva alle mani c’è qualcosa che non funziona. E in più, se si arriva a questo su un tema del genere, di grande importanza come è per la cittadinanza dei nostri giovani italiani figli di stranieri, fa pensare che ci siano altri motivi dietro.
A quali motivi allude?
Stiamo andando verso il ballottaggio e una certa politica parla alla pancia del popolo indicando questa legge come colpevole di tutte le malattie ma anche negando in questo modo una realtà di fatto: che è quella che le migrazioni non sono un fatto momentaneo ma epocale e che nessuno può fermare. La legge in discussione al Senato che integra quella attualmente vigente ammette nuovi casi di cittadinanza che riguardano figli di genitori stranieri che nascono in Italia o che vi sono arrivati in età giovanissima e hanno completato il ciclo di studi. Non stiamo parlando di persone che arrivano da chissà dove. Ma di giovani di seconda, terza e anche quarta generazione che vivono già qui. Che conoscono la nostra lingua, il nostro Paese, le nostre abitudini.
Quindi, l’opposizione e la protesta di una certa politica non ha fondamento nella realtà, è solo ideologica?
Sembra sproporzionato negare a priori a persone che già sono in Italia ma che soprattutto condividono con i propri coetanei questa bellezza di trovarsi insieme e la gioia di condividere, negare una identità di uguaglianza e di omogeneità con gli altri. È solo ideologico e non dobbiamo dimenticare che la nuova cittadinanza sarebbe un plus valore per questi ragazzi che si stanno integrando e che hanno voluto prendere le caratteristiche dell’Italia, dove non si creano ghetti o banlieu come avviene invece in altri Paesi. Senza dimenticare che il popolo italiano è sempre stato un popolo di immigrati. Dal sud verso il nord, per andare a lavorare alla Fiat o alla Pirelli.
Chi ci perde con l’approvazione dello Ius soli?
Nessuno ci perde, c’è solo da guadagnare. C’è da guadagnare non da perdere di gente che non si sente emarginata e si toglie il pericolo e la tentazione di realtà contrarie. Non credo che con la nuova legge ci sia una realtà di perdita.
I nostri giovani se ne vanno e noi non diamo la cittadinanza ai giovani che vogliono invece rimanere in Italia, non è contraddittorio?
L’Italia in questo momento non è solo un Paese di immigrazione ma sta diventando anche un Paese di emigrazione. Dal 2005 al 2015 4milioni e 800mila italiani sono emigrati all’estero. Il 44% di chi ha lasciato lo ha fatto per motivi di studio ma il restante - più del 50% - sono intere famiglie che emigrano. Con Migrantes, li abbiamo incontrati in Argentina e in Australia. L’Italia ha bisogno di forze nuove e col calo di natalità da una parte e il rifiuto alle nuove cittadinanze, rischia di diventare un Paese chiuso. Lo Ius soli va a compensare questa nuova situazione, molti giovani parlano la nostra lingua, frequentano i nostri oratori, si sentono inseriti nei quartieri. Alcuni si esprimono con un romanaccio che mi sembra il mio quando ero bambino al Prenestino!

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