Il giallo dei missili su Mosca e i timori per una democrazia in guerra

Da Trump minacce e dietrofront. Ma gli ucraini acclamano Melania per la risposta al marito. Intanto il "Kyiv Independent" mette in guardia la politica: «Non dobbiamo diventare come il ne
July 14, 2025
Il giallo dei missili su Mosca e i timori per una democrazia in guerra
Fotogramma | Scene di distruzione nella capitale ucraina
Fra la roulette russa delle dichiarazioni di Trump e le minacce sempre presenti di un’accelerazione di Mosca sul terreno, a Kiev si sta scavando una trincea invisibile: difendere l’Ucraina e far sopravvivere la democrazia senza diventare «come il nostro nemico», scrivono alcuni media locali.
Prima di tutto le armi. Gli americani, tra giochi di parole e smentite ad arte, con una mano concedono a Putin un comodo ultimatum di 50 giorni, con l’altra prima non escludono l’invio di missili a lunga gittata, poi lo negano. «Volodymyr potete colpire Mosca? Potete colpire anche San Pietroburgo?», ha chiesto Trump a Zelensky nella telefonata del 4 luglio, rivelata dal Financial Times e prima confermata dalla Casa Bianca. «Certamente, possiamo farlo se ci date le armi», sarebbe stata la risposta del leader ucraino. «Il presidente stava solo facendo delle domande», è l’interpretazione della portavoce di Trump. E a rassicurare Putin è poi arrivato lo stesso tycoon, che prima minimizza l’eventuale mancata adesione dello zar alla proposta di cessate il fuoco: «Sarebbe un peccato». Poi avverte Kiev: «Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non dovrebbe prendere di mira Mosca». Precisando che non verranno forniti missili a lungo raggio. Punto e a capo.
Eppure c’è altro, «ed è un bene che se ne stia parlando pubblicamente», è l’opinione di Katya, studentessa di giornalismo mentre rovista in libreria cercando raccolte di reportage in lingua inglese. «A differenza nostra – rimarca –, in Russia di queste cose in pubblico non si può parlare». Si riferisce all’editoriale del giorno, quello pubblicato dal Kyiv Independent, il principale media locale in lingua inglese, che la guerra la segue da vicino. La redazione ha pagato un tributo di sangue per sostenere la causa ucraina raccontando il conflitto ininterrottamente dalla prima linea. «Pur dimostrando la sua efficacia nel garantire armi e sostegno all’Ucraina a livello internazionale, il presidente Zelensky – si legge nel commento non firmato, dunque attribuito alla direzione editoriale – ha anche un dovere in patria: sostenere e difendere le istituzioni democratiche».
Il caso limite è indicato nella vicenda giudiziaria di Vitaliy Shabunin, co-fondatore del principale movimento di controllo anticorruzione del Paese, finito sotto inchiesta per evasione della leva, nonostante si sia arruolato da volontario fin dall’inizio dell’aggressione russa. «Una repressione del più famoso crociato anticorruzione del Paese - scrive il Kyiv Independent - non può aver luogo senza almeno l’approvazione tacita del presidente Zelensky, se non addirittura il suo permesso attivo». E se fosse così, il capo dello stato dovrebbe fare retromarcia, «prima che sia troppo tardi». Se invece l’inchiesta non avesse mandanti politici, allora il presidente secondo la testata dovrebbe scoprire chi ha ordinato l’indagine e a quale scopo, «perché quella persona non sta agendo nel migliore interesse dell’Ucraina», aggiunge l’editoriale.
Non è un tema da poco, nel giorno del rimpasto di governo, a poche ore dal voto con cui il parlamento dovrà convalidare la nomina di Julija Svyrydenko, fedelissima di Zelensky, da ministro dell’Economia a premier.
La gente di Kiev sta riassaporando le prime due notti senza sirene d’allarme. Fino a sabato resterà in Ucraina l’inviato del presidente Trump, il generale Kellogg. Ed è impensabile che nonostante i contrasti Mosca colpisca la capitale proprio quando il delegato della Casa Bianca si trova nel Paese.
Due fonti diplomatiche europee a Kiev, hanno confermato ad Avvenire di avere una certezza basata su informazioni delle rispettive intelligence: «Putin non si fermerà. Perché dovrebbe farlo? Sta ammassando uomini e mezzi su diversi aree, da Nord a Est. Le forze ucraine riescono a malapena a contenere gli assalti e da qui a fine agosto tenterà una nuova spinta». La Russia, che già controlla quasi un quinto del territorio ucraino, ha guadagnato circa 1.415 km quadrati (come metà della Val d’Aosta) negli ultimi tre mesi, secondo i dati di “DeepStateMap”, una mappa aggiornata su fonti aperte. A questo ritmo ci vorrebbero decenni per riuscire a conquistare l’intera Ucraina orientale. «Ma l’appetito vien mangiando», osserva tra fatalismo e rassegnazione una fonte diplomatica ad Avvenire.
Le informazioni concordano con altre che arrivano da Mosca. «Il presidente Vladimir Putin intende continuare a combattere finché l’Occidente non accetterà le sue condizioni di pace, senza lasciarsi intimidire dalle minacce di Donald Trump», riporta l’agenzia Reuters che ha sentito tre diverse fonti vicine al Cremlino.
Dai tavoli all’aperto degli eleganti caffè di Kiev in molti si scambiano dei fotomontaggi con l’eroina del giorno. E’ Melania Trump, affettuosamente ribattezzata ”Melania Trumpenko”, del resto nata in Slovenia al tempo della Jugoslavia in orbita sovietica. Sui social media è un trionfo, dopo che il tycoon ha raccontato di come la consorte avesse reagito all’ultima telefonata del marito con Putin. «Vado a casa – ha raccontato Trump –, dico alla first lady: ho parlato con Vladimir oggi. Abbiamo avuto una conversazione meravigliosa. E lei: “Davvero? Un’altra città è stata appena colpita”». E bastato questo perché più delle incongruenti promesse della politica e delle sirene che ieri non hanno fatto gli straordinari, a Kiev si tornasse a credere in qualche aiuto degli Usa. In casa Trump, nonostante Trump.
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