«Derivati, il Comune di Milano fece troppi errori»

​Rese note le motivazioni della sentenza in appello che ha assolto le banche. Secondo i giudici i due sindaci che gestirono la partita non fecero le dovute valutazioni nel gestire il denaro pubblico
June 2, 2014
Il Comune di Milano quando sottoscrisse contratti derivati, sotto la guida di Gabriele Albertini prima e di Letizia Moratti poi, avrebbe scommesso "il denaro dei cittadini e contribuenti facendo loro assumere rischi dannosi e inutili". Insomma, le due amministrazioni di centrodestra, che hanno governato per 14 anni il capoluogo lombardo, non si sarebbero comportate, secondo i giudici, in modo corretto, non tenendo conto del bene comune per i cittadini. Lo scrive la Corte d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui ha assolto, ribaltando la sentenza di primo grado, Ubs, Deutsche Bank, Depfa Bank e Jp Morgan e 9 manager ed ex manager imputati per truffa. Le banche, infatti, secondo si sono attenute "alla prassi e alla legge" rispettando la loro natura, ovvero fare profitto. Secondo i giudici della quarta sezione penale della Corte d’Appello milanese, presieduta da Luigi Martino, non ci sarebbe stata da parte degli operatori finanziari alcuna "fraudolenta attività di bancari e banchieri". In primo grado invece gli istituti di credito e i loro dipendenti erano stati condannati dal Tribunale nel dicembre 2012 rispettivamente a un milione di multa ciascuno e a pene (sospese) che andavano dai sei agli otto mesi e 15 giorni di reclusione. Poi alcune settimane fa il ribaltamento, in Appello, della sentenza, con l’assoluzione dalla truffa "perché il fatto non sussiste". I giudici tra l’altro con il dispositivo hanno revocato anche la maxi-confisca di oltre 89 milioni di euro disposta in primo grado a carico delle banche. Per la Corte d'Appello, come si legge nelle motivazioni, in primo luogo "non sarebbe dovuto accadere che un Ente territoriale, e non un minuscolo Comune di periferica provincia bensì il cuore pulsante della Nazione, affiancato da uno studio legale di grande prestigio per la componente tecnico-giuridica giungesse al perfezionamento dell’operazione in strumenti finanziari (collegata all'emissione del bond) del giugno 2005 senza il supporto e l’ausilio di un advisor indipendente per la componente economico-finanziaria". Perché appunto, è la spiegazione dei giudici, non si possono “scommettere” i soldi dei cittadini su un prodotto come quello dei derivati, che si basa su una previsione (a volte azzardata) su titoli del mercato. Si auspica, invece, scrivono ancora i giudici, che "pubblici amministratori e pubblici funzionari" non si affidino, come è accaduto, "nella gestione della pecunia pubblica" alla "mano invisibile di Smithiana memoria" per poi "stupirsi se le banche perseguono il proprio oggetto sociale facendo profitti". Sono gli amministratori pubblici, infatti, secondo i giudici, e "non certo" le banche "a doversi confrontare con una complessiva verifica della convenienza economica della ristrutturazione dei debiti" dell’ente pubblico.

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