Del Conte: referendum strumento inadatto. Effetti ambigui
"Il successo dei quesiti potrebbe in alcuni casi portare a una riduzione delle tutele dei lavoratori. Non si tornerebbe all'articolo 18 per i licenziamenti ma alla legge Fornero con indennità rid

Domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15 si vota per cinque referendum. I primi quattro riguardano materie di lavoro e sono stati promossi dalla Cgil e altri soggetti che hanno raccolto oltre 4 milioni di firme. Il quinto è sulla cittadinanza. Perché l’esito del referendum sia valido occorre comunque che esprimano il loro voto almeno il 50% più 1 degli aventi diritto. Qui presentiamo le ragioni del "no" alla consultazione referendaria con Maurizio Del Conte. In un'altra intervista le ragioni del "sì" con la voce di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil.
Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro all’Università Bocconi, è presidente dell’Afol metropolitana di Milano e dal 2016 al 2019 è stato alla guida dell’Anpal.
Professore, i temi trattati nei quesiti toccano ambiti fondamentali come il lavoro e la cittadinanza. La scelta di intervenire con uno strumento come il referendum è adeguata?
Distinguerei i quattro quesiti in materia di lavoro da quello riguardo alla cittadinanza. Mentre su quest'ultimo, il referendum è abbastanza chiaro - si chiede in sostanza di ridurre a 5 anni da 10 attuali i tempi per ottenerla - i quattro quesiti sul lavoro sono molto complessi, molto tecnici, hanno dei riflessi sulla normativa attuale e sulla stratificazione delle norme, direi degli ultimi 55 anni. Mi pare, quindi, che in materia di lavoro, se si vuole davvero incidere, non si debba utilizzare questo tipo di strumento, che è per sua natura grezzo, che può avere degli effetti addirittura contrari a quelli che si propongono gli stessi promotori.
Ma non va vista, in realtà, come una extrema ratio in qualche modo necessaria, visto che su questi temi non si riesce a discutere in sede parlamentare?
Mi pare che questo sia proprio il problema di questa tornata referendaria. In sostanza, si utilizza uno strumento, cioè il referendum abrogativo, ma in realtà si vuole lanciare dei messaggi che sono molto lontani dal risultato che si otterrebbe nel caso di successo del referendum. Il successo del referendum potrebbe in alcuni casi portare a una sostanziale riduzione delle tutele dei lavoratori, che è ciò per il quale invece i promotori del referendum dicono di volersi battere.
Entriamo nel merito: il primo quesito relativo ai licenziamenti nelle grandi imprese porterà davvero a una maggiore tutela con la reintegra nel posto di lavoro di chi è stato licenziato in maniera illegittima? O l’impatto sarà limitato, vista la stratificazione di leggi e sentenze della Corte costituzionale che sono intervenute negli anni sulla materia?
Ma qui avremmo addirittura un risultato paradossale perché, al contrario di quanto si dice comunemente, il risultato non sarebbe quello di riportare al vecchio originario articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma quello di resuscitare la riforma Monti Fornero del 2012. Con l'effetto che, se passasse il referendum, il risarcimento per il licenziamento illegittimo scenderebbe dalle attuali 36 mensilità come massimo alle 24 mensilità, sempre come massimo, previste appunto dalla riforma Fornero. Direi che siamo ben lontani dal ripristino del vecchio Statuto dei lavoratori.
Con il secondo quesito si vorrebbe togliere il limite massimo di 6 mensilità come sanzione per i licenziamenti giudicati illegittimi nelle piccole imprese. Questo lascerebbe più liberi i giudici di stabilire un indennizzo adeguato, a maggior tutela dei lavoratori, oppure rischia di portare a costi irragionevoli per una piccola impresa?
In realtà, fu esattamente il legislatore dello Statuto dei lavoratori, quello del 1970, a prevedere una differente disciplina fra piccole e grandi imprese, fra quelle con più di 15 dipendenti o quelle fino a 15 dipendenti. Perché, si diceva, non è pensabile trattare allo stesso modo la grande impresa con magari migliaia di dipendenti e la micro impresa con 1 o 2 dipendenti per la quale evidentemente una sanzione economica di alcune annualità potrebbe rappresentare un peso economicamente insostenibile fino a farla chiudere. Oltre alla banale considerazione che reintegrare un lavoratore in una micro azienda, dove dovrebbe poi trovarsi di nuovo a lavorare a fianco a fianco col capo che lo ha illegittimamente licenziato, sarebbe francamente una situazione insostenibile. Dunque, la novità che si vorrebbe introdurre con questo quesito sarebbe un inedito paradossale, perché toglierebbe ogni limite al risarcimento proprio per le piccole imprese, lasciando invece per le grandi il limite di 24 mensilità. Una soluzione un po’ alla rovescia rispetto a quello che dovrebbe essere un equilibrio fra piccola e grande impresa, con naturalmente l'esposizione a rischio per le tantissime piccole imprese di dover pagare somme che non sono in grado di affrontare.
Con il quesito relativo alla causale per i contratti a termine, l’intento dei proponenti è quello di contrastare la precarietà in particolare i giovani. Sarebbe questo l’effetto di una vittoria dei sì o ci sarebbero contraccolpi sul piano delle assunzioni e del contenzioso giudiziario?
Ciò che sorprende di più del quesito sul contratto a termine è che cade in un momento storico nel quale i contratti a termine sono, in proporzione rispetto a quelli a tempo indeterminato, al loro minimo, non abbiamo mai avuto un rapporto così favorevole verso i contratti a tempo indeterminato come ora. Sappiamo che oggi il problema delle imprese è quello di trattenere i propri dipendenti. E lo fanno molto spesso trasformando i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato oppure offrendo direttamente contratti a tempo indeterminato. D'altra parte, introdurre la necessità di una causale certamente sarebbe un fattore che limiterebbe moltissimo l'accesso al lavoro, in particolare dei giovani, che cercano una prima esperienza nelle aziende o che sono in formazione e nei tempi liberi dallo studio possono avere opportunità di lavoro a termine. Complessivamente l'occupazione potrebbe ridursi.
Il quarto e ultimo quesito riguarda la corresponsabilità del committente, questa è già prevista in maniera generale. Il referendum insiste su un caso molto specifico. E’ utile questa estensione? Può responsabilizzare maggiormente i committenti o è irragionevole?
Questo è un quesito molto tecnico, tende appunto a introdurre la responsabilità solidale del committente, non solo per il rischio generico dell'appaltatore - quella c'è già - ma anche per il rischio specifico, cioè della specifica attività che l'appaltatore svolge all'interno dell'appalto. In sostanza, se io ho un'attività, ad esempio, di ristorazione e faccio ristrutturare il locale del mio ristorante attraverso un contratto di appalto e durante questi lavori un dipendente dell'impresa edile si fa male, con questo nuovo intervento referendario il proprietario del ristorante risponderebbe anche per quell'infortunio. Una situazione che, dicono i proponenti, il referendum tenderebbe a responsabilizzare il committente nella scelta dell'appaltatore, ma è anche vero che, se pure il committente scegliesse il migliore degli appaltatori possibili, in realtà resterebbe comunque responsabile solidalmente per qualunque infortunio si dovesse verificare. Quindi una sorta di responsabilità oggettiva, a prescindere da qualsiasi colpa, anche nella scelta del dell'appaltatore. E quindi, in buona sostanza, non ci sarebbe un grande incentivo a scegliersi il migliore degli appaltatori possibili, perché comunque anche il migliore degli appaltatori possibili non dispenserebbe il committente dalla responsabilità solidale.
Infine, rispetto al quesito sulla cittadinanza, sarebbe utile anche per il nostro mercato del lavoro favorire una integrazione più rapida degli stranieri residenti nel nostro Paese?
Noi dobbiamo considerare il dato demografico che ci dice che continuiamo a perdere popolazione e che continuiamo a perdere giovani. Il fatto che si riducano i tempi per diventare cittadini dagli attuali 10 anni a 5, a mio modo di vedere non potrebbe che rappresentare un fattore positivo di integrazione degli stranieri che oggi già vivono e lavorano nel nostro Paese regolarmente. E non potrebbe che aiutare lo sviluppo del nostro sistema sia sociale che economico in una situazione generale di scarsissima natalità e di, ahimé, prospettiva di ulteriore aggravarsi del declino demografico.
Per i referendum si può votare sì o no, ma è legittima anche la scelta dell’astensione. Alla fine, quale comportamento pensa sia più opportuno?
Io credo che i referendum dovrebbero essere su grandi questioni di carattere generale. E purtroppo questa volta i quesiti sono molto tecnici e hanno esiti assai difficili anche da spiegare all'elettore. Da questo punto di vista, personalmente l'unica raccomandazione che mi sento di dare è di informarsi quanto più possibile nel dettaglio dei quesiti. Di leggere le schede che circolano nei facsimili e cercare di capire quale effettivamente sarebbe l'esito di questi referendum. Al di là degli slogan e della propaganda che attorno a questi referendum si sta svolgendo in questi giorni.
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