C'è un'Italia inclusiva: l'estate dei locali che danno lavoro ai fragili

Il caso più famoso è PizzAut, ma non è l'unico: da Nord a Sud si moltiplicano le aperture di ristoranti, bar, alloggi turistici e fattorie sociali dove sono occupati ragazzi con disabilità
July 27, 2025
C'è un'Italia inclusiva: l'estate dei locali che danno lavoro ai fragili
Credit: NurPhoto SRL / Alamy Stock Photo |
Il più famoso è PizzAut che, nato da un’intuizione di un papà, Nico Acampora, il quale sognava un futuro professionale per il proprio figlio, in soli otto anni di attività ha aperto due punti vendita gestiti da ragazzi con autismo, a Cassina de’ Pecchi e Monza, attivato collaborazioni con i maggiori cantautori italiani e persino fatto sedere al tavolo il presidente Sergio Mattarella. Lungo la penisola, però, i locali che come PizzAut danno lavoro a ragazzi con disabilità, fisiche e cognitive, sono numerosissimi. «Non ci sono fonti ufficiali sul fenomeno – spiega Luciano Sbraga, vicedirettore della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) – ma sicuramente la ristorazione negli ultimi anni mostra sempre più attenzione al tema dell’inclusione.
Da un lato sono state aperte attività dedicate a persone con disabilità di vario tipo, che si reggono sul loro lavoro prevalente e che spesso sono gestite da cooperative; dall’altro sempre più imprenditori con locali standard hanno incluso alcuni dipendenti con fragilità. Non è né una questione di obbligo di legge, visto che quasi sempre si tratta di piccole realtà, né di sgravi economici ma di una precisa scelta etica» come dimostra, tra i tanti, il caso di Pit’sa, pizzeria profit aperta a Bergamo nel 2022 dall’imprenditore Giovanni Nicolussi che usa solo ingredienti vegetali e impiega ragazzi con sindrome di Down.
Una mappa completa di questi locali non c’è eppure le aperture – segnalate dalle attività stesse così come dai giornali locali – sono numerosissime e vanno da Nord al Sud. Secondo Federsolidarietà, costola di Confcooperative che alla fine dello scorso anno ha redatto la guida “Il gusto della cooperazione” (Pecora nera) e che si prepara a darne alle stampe una seconda edizione, si potrebbe pensare a circa 300 realtà. «Abbiamo assistito – conferma il presidente Stefano Granata – a una crescita esponenziale e nata dal basso. Tradizionalmente le cooperative si occupavano o di servizi alla persona (si chiamano di tipo A) oppure di inclusione lavorativa (le cosiddette cooperative di tipo B). Ora stanno nascendo formule ibride, ovvero cooperative del primo tipo che aprono locali inclusivi. Da un lato è un modo per offrire uno sbocco di integrazione sociale alle persone fragili che si seguono a livello assistenziale e per impiegare gli educatori in nuove esperienze evitando loro il burnout; dall’altro c’è anche un fattore economico: le cooperative che lavorano con le pubbliche amministrazioni, tra bandi e tariffe, fanno fatica a reggersi e così aprire un’attività economica diventa anche un modo per dare stabilità all’ente stesso».
Si va dai ristoranti ai bar fino ai locali di accoglienza turistica e alle fattorie sociali che sorgono un po’ ovunque sui territori. Tra le esperienze più significative c’è Luna Blu, una residenza turistica gestita a La Spezia dalla Fondazione Aut Aut che si è dotata anche di un ristorante dove si mette in tavola la pasta prodotta dai ragazzi con autismo nei laboratori interni alla struttura. A Brescia i soci del Centro Bresciano Down hanno fondato 21Grammi, un ristorante che ha l’obiettivo di insegnare un mestiere e far sviluppare competenze ai giovani con sindrome di Down e altre fragilità intellettive. Sempre nel Bresciano, precisamente a Corte Franca, si trova un altro caso, emblematico fin dal nome: è il ristorante Centottanta, un omaggio alla legge 180 del 1978 conosciuta come Legge Basaglia che ha portato alla chiusura dei manicomi e alla riabilitazione dei malati psichici nella società. Scendendo per lo Stivale, a Livorno, il Parco del Mulino è un progetto più complesso di un semplice locale: sorto su un’area fatiscente che nel 2007 il Comune ha deciso di ripristinare e poi affidare alle cure della sezione locale Associazione italiana persone down, oggi è un complesso con ambulatori medici, palestra per attività motorie, un’area sosta camper, un bed & breakfast e una pizzeria che hanno lo scopo di sostenere le spese del luogo e creare un lavoro stabile adatto alle capacità individuali delle persone con sindrome di Down.
Spesso queste attività sono l’occasione di sperimentare diversi filoni d’impresa e tenere insieme vari aspetti: dalle materie prime a chilometro zero, alle pratiche di consumo critico fino alle intersezioni con iniziative etiche. È il caso della pizzeria Porta pazienza, nata nel 2020 a Bologna dalla cooperativa sociale La Formica: oltre a offrire lavoro a persone con fragilità, il locale permette di donare una pizza “sospesa” contro la povertà alimentare e contribuisce alla lotta alla mafia utilizzando materie prime coltivate su terreni confiscati ai mafiosi o prodotti da chi denuncia il pizzo e comprende un laboratorio di cucina per ragazzi con autismo. «Oggi l’offerta è molto alta, si propongono alloggi curati e prodotti locali – conferma Granata – e solo quando arrivi scopri la fragilità che c’è dietro e ti relazioni a quel mondo, non è più il contrario. Questo approccio fa sì che oggi, a differenza del passato in cui si puntava soprattutto sull’aspetto sociale, queste attività stanno in piedi e diventano ossigeno per le altre attività della cooperativa».
Oltre alle località turistiche, il trend si registra anche nelle grandi città, a partire da Milano, che sembra un po’ la capitale dei punti ristoro votati all’inclusione. Ristorante, bistrot e associazione di promozione sociale, Rob de matt è uno dei locali più noti in città in cui lavorano persone con disagio psichico ma anche migranti, ex carcerati e rifugiati politici. Consorzio SiR e Arca di Noè, cooperative specializzate nei servizi di assistenza a persone con disabilità, hanno deciso di estendere i propri progetti aprendo una “trattoria solidale” – si chiama Cascina Bellaria – nel Parco di Trenno in cui è previsto l’inserimento lavorativo di ragazzi con fragilità psichiche e intellettive. L’esperimento ha funzionato bene se i due enti hanno replicato l’iniziativa prima a Parco Lambro e poi con altri bar e chioschi sociali a Solaro. Nel capoluogo lombardo quartiere che vai ed esperienza che trovi: sui Navigli c’è Rab, il bar al contrario creato dalle cooperative Via Libera e L’impronta con ragazzi con disabilità intellettiva che a Gratosoglio invece ha costituto GustoP in cui oltre il 70 per cento del personale è costituito da persone con disabilità.
Nonostante la capillarità meneghina la prima esperienza del genere nasce a Roma con la Comunità Sant’Egidio che a Trastevere nel lontano 1994 ha aperto prima una paninoteca inclusiva e poi la Trattoria de Gli amici in cui lavorano persone con disabilità affiancate da professionisti e volontari. Riconosciuta una buona pratica a livello internazionale, l’osteria inclusiva è stata imitata già da dieci anni a Rutigliano nel Barese con Testecalde e recentemente, a giugno 2025, Sant’Egidio ha raddoppiato l’esperienza aprendo sempre a Trastevere lo street food Hug dietro il bancone del quale operano ragazzi fragili. «Queste attività – chiosa Sbraga restituendo il senso globale delle iniziative – nascono dove solo c’è un volontariato e un associazionismo molto rilevante e di spessore che pensa di interpretare le opportunità di crescita di queste persone non più soltanto superando il mero livello di assistenza e passando per un lavoro professionale che migliora e rende autonoma la vita di questi ragazzi. La ristorazione si presta bene a questo scopo, perché è un lavoro molto stimolante che accelera l’inserimento e la crescita di ragazzi con fragilità».

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