giovedì 13 dicembre 2018
Per il presidente dell'associazione "I Popolari" il tema europeo è l'occasione per un nuovo protagonismo. «Formare i giovani e selezionare i politici sul valore integrale della vita»
Pierluigi Castagnetti (Archivio Fotogramma)

Pierluigi Castagnetti (Archivio Fotogramma)

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«Non avrebbe senso oggi dar vita a un partito dei cattolici», per Pierluigi Castagnetti. Il presidente dell’associazione 'I Popolari' ha partecipato a fine novembre all’iniziativa sull’Europa promossa da molte sigle dell’associazionismo cattolico con l’intervento del cardinale Bassetti: «Ho visto sintonia - dice -. Gli intellettuali cattolici ci sono, le associazioni pure, e il tema dell’Europa è uno di quelli su cui si riconosce la cultura cristiana».

Ma un partito dei cattolici, lei dice, non è auspicabile.

No, non credo sia un’iniziativa auspicabile. Un eventuale fallimento sarebbe una prospettiva molto negativa per il mondo cattolico e per la Chiesa stessa. Non ci sono le condizioni storiche. Certo, andando in giro si coglie nostalgia dei tempi della Dc. Ma è nostalgia di quel modo serio di affrontare la politica, di una politica che abbia visione, capace di mediazione, nostalgia di una cultura di governo. Non nostalgia di un partito di ispirazione cristiana.

Non c’è lo spazio?

Tentativi ce ne sono stati, anche recenti, e hanno registrato risultati molto deludenti. Quello che ebbe più successo fu quello del 2001 di Democrazia Europea, operato da Andreotti, D’Antoni e Zecchino. Un’iniziativa strutturata, ed erano passati solo 7 anni dalla fine della Dc, c’erano ancora gli ex elettori. Eppure non fu raggiunto il quorum. Figurarsi ora. Il mondo cattolico ha la possibilità, invece, di orientare le scelte delle politica: penso a una rete, sul tipo di quella evocata dal cardinal Bassetti, che metta in campo obiettivi sui cui le forze politiche siano chiamate a misurarsi. Come avvenne nella Costituente e nella fase fondativa dell’Unione Europea in cui i cattolici sono stati protagonisti, quasi egemoni, proprio facendosi ca- rico di una visione del mondo.

Che cosa fare, allora?

Bisogna uscire da un torpore. Le vicende politiche italiane ci interessano, serve una mobilitazione. Il Censis ha portato alla luce i connotati di un Paese che non si commuove più davanti a un povero che soffre, in cui non ci si vergogna più di coltivare sentimenti razzisti. E in un Paese in cui si dice 'prima gli italiani', col rischio che si passi al 'solo gli italiani', occorre ricostruire il tessuto umano del Paese.

Che cosa suggerirebbe ai giovani cattolici che vogliono impegnarsi?

Dovrebbero chiedersi come mai ci sono tante persone che sono beatificate o in fase di beatificazione - penso a De Gasperi, Moro, Sturzo, Lazzati, La Pira - non 'nonostante' la politica ma 'attraverso' di essa. Perché hanno portato in politica un’intelligenza che altri non avevano. C’è da riscoprire la politica come forma più esigente di vivere la carità, come diceva Paolo VI.

Fare reti, lei dice. Con quali obiettivi?

Per preparare i cittadini, soprattutto i giovani, a comportamenti elettorali consapevoli. Per dar vita a un’Europa più 'sociale', di pace, che non si faccia utilizzare dalle tre potenze che vorrebbero spartirsi il mondo, Usa, Russia e Cina. Un’Europa che riscopre se stessa, se non sono i cattolici a pretenderla, chi potrà farlo al loro posto?

Ma contro un uso 'a pezzetti' della dottrina sociale si potrebbe chiedere ai candidati un impegno integrale?

Il valore della vita va rimesso al centro, come fu per i costituenti, dal concepimento fino alla morte: da esso scaturisce un’intera civiltà. Così il lavoro, avendo a che fare con la dignità della persona ha a che fare con la vita. Altrettanto vale per l’accoglienza.

Per affermare una visione del genere c’è anche l’uso della preferenza.

È una possibilità da non sprecare. Ma con un’ambizione più alta: costruire un’idea di Europa. Mi sembra un’ottima idea quella della Cei di riprendere i colloqui del Mediterraneo di La Pira. Il Mediterraneo, come diceva Sturzo, deve essere sentito come proprio da tutta l’Europa, guardando fino a Gerusalemme. E, come diceva La Pira, se c’è la pace a Gerusalemme c’è pace nel mondo intero.

Come giudica la presa di posizione di Salvini, in Israele?

Non credo siano opportune affermazioni che mirano a compiacere una delle parti in causa. Serve minore disinvoltura e maggiore intelligenza storica, in una situazione così delicata.

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