mercoledì 25 agosto 2021
Il diplomatico rimasto a Kabul: non abbandoneremo mai il popolo afghano ma in questa situazione è difficile restare. Arrivano continue richieste di essere portati via, prossime ore decisive
Il console-ragazzino, diventato l’emblema di un’Italia generosa e in prima linea, compirà 31 anni lunedì prossimo, il 30 agosto, e la sua festa sarà far salire sugli aerei ancora donne e famiglie vulnerabili, per sfuggire alle possibili vendette

Il console-ragazzino, diventato l’emblema di un’Italia generosa e in prima linea, compirà 31 anni lunedì prossimo, il 30 agosto, e la sua festa sarà far salire sugli aerei ancora donne e famiglie vulnerabili, per sfuggire alle possibili vendette - Ansa

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«Non abbandoneremo mai il popolo afghano». Tommaso Claudi si è ritagliato il tempo per rispondere alle domande di Avvenire, pur nel caos di queste giornate a Kabul, dove la priorità è portare in salvo più persone possibile, incrociando nomi, verificando liste, organizzando trasbordi verso l’aeroporto e sfidando i nuovi divieti dei taleban. Il console-ragazzino, diventato l’emblema di un’Italia generosa e in prima linea, compirà 31 anni lunedì prossimo, il 30 agosto, e la sua festa sarà far salire sugli aerei ancora donne e famiglie vulnerabili, per sfuggire alle possibili vendette. E bambini, come quello che, nella foto che ha fatto conoscere il suo volto a tutti gli italiani, ha preso piangente tra le sue braccia nella calca dell’aeroporto di Kabul.
Originario di Camerino (Macerata), diploma di liceo scientifico, poi due lauree e nel 2017 l’inizio di una carriera in diplomazia che si preannuncia sfolgorante. La prima missione in Afghanistan nel 2019, come secondo segretario commerciale a Kabul, oggi gettato in prima linea dal precipitare degli eventi. Da giorni vive in un locale all’interno dell’aeroporto.

Console Claudi, lei è diventato l’emblema di un’Italia generosa e infaticabile. Si aspettava di diventare un simbolo? Qual è stata la sua reazione?
Quando si sceglie di servire lo Stato, occorre essere pronti ad aiutare chi è in difficoltà o in pericolo, in questo caso le famiglie, donne e bambini. In questo momento, e in constante, pieno raccordo con i colleghi della Difesa e dei servizi di informazione, stiamo cercando di portare in Italia il maggior numero possibile di collaboratori afgani e le loro famiglie. La foto che è circolata nei giorni scorsi mi ha personalmente toccato, soprattutto perché testimonia l’impegno di tutto il Paese in queste ore drammatiche, ma fa parte del lavoro incessante e di squadra che stiamo portando avanti tutti insieme in questi giorni qui all’aeroporto di Kabul.

Negli anni gli italiani si sono distinti in Afghanistan per l’attività umanitaria, oltre naturalmente a quella di supporto offerta dai militari. Quanti connazionali resteranno nel Paese per continuare la loro missione a fianco alla popolazione?
Nell’immediato immagino sarà difficile poter restare, vista l’incertezza in Afghanistan. La nostra azione di sostegno umanitario al Paese, che tengo a precisare è colpito in questo momento non solo dal conflitto ma anche da condizioni climatiche durissime e dalla pandemia, continua e continuerà, soprattutto attraverso le agenzie internazionali. Non abbandoneremo mai il popolo afghano.

Ci sono ancora molte persone nelle liste da portare via? Come si sta organizzando il lavoro negli ultimi giorni?
Sì, le persone sono molte e ci giungono sempre nuove richieste. Come dicevo la collaborazione con i carabinieri e con i colleghi della Difesa, che hanno organizzato il ponte aereo, è la chiave per portare in Italia il maggior numero di persone possibile. Molto dipenderà anche dagli sviluppi dei prossimi giorni.

Cosa vede nell’immediato per lei? Tornerà in Italia?
Sono orgoglioso di poter servire il mio Paese. Vede, quella del diplomatico è una vocazione, una missione, non un semplice lavoro. Come me, ci sono molti altri colleghi nel mondo che ogni giorno si occupano di salvare vite, tutelare gli italiani in difficoltà, aiutare le persone che hanno bisogno. Il mio progetto è quello di continuare, e una volta terminato il mio compito qui, di prestare servizio in una nuova sede all’estero.

Era questo che si aspettava quando ha scelto la carriera diplomatica?
Quando ho intrapreso la carriera diplomatica sapevo che avrei dovuto svolgere molte e diverse funzioni, tenendo in conto che avrei potuto dover affrontare anche fasi operative difficili come quella di questi giorni. Tutto questo fa parte della vocazione di noi diplomatici, che incessantemente ma con discrezione promuovono, difendono e tutelano gli interessi dell’Italia, cercando di avvicinare tra loro società, mondi e culture diversi.

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