lunedì 25 gennaio 2021
A cinque anni dal rapimento a Il Cairo, il presidente della Repubblica ricorda Giulio: "Vicini ai genitori che si battono per ottenere giustizia". Il 29 aprile l'udienza preliminare del processo
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante l'incontro con Paola Deffendi e Claudio Regeni, e Irene

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante l'incontro con Paola Deffendi e Claudio Regeni, e Irene - Ansa

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"L'azione della Procura della Repubblica di Roma, tra molte difficoltà, ha portato a conclusione indagini che hanno individuato un quadro di gravi responsabilità, che, presto, saranno sottoposte al vaglio di un processo, per le conseguenti sanzioni ai colpevoli. Ci attendiamo piena e adeguata risposta da parte delle autorità egiziane, sollecitate a questo fine, senza sosta, dalla nostra diplomazia".

Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a cinque anni dal rapimento al Cairo di Giulio Regeni. "L'azione della Procura della Repubblica di Roma, tra molte difficoltà, ha portato a conclusione indagini che hanno individuato un quadro di gravi responsabilità, che, presto, saranno sottoposte al vaglio di un processo, per le conseguenti sanzioni ai colpevoli. Ci attendiamo piena e adeguata risposta da parte delle autorità egiziane, sollecitate a questo fine, senza sosta, dalla nostra diplomazia".

"In questo doloroso anniversario - conclude il presidente Mattarella - rinnovo l'auspicio di un impegno comune e convergente per giungere alla verità e assicurare alla giustizia chi si è macchiato di un crimine che ha giustamente sollecitato attenzione e solidarietà da parte dell'Unione europea. Si tratta di un impegno responsabile, unanimemente atteso dai familiari, dalle istituzioni della Repubblica, dalla intera opinione pubblica europea".

E mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ribadisce che il dialogo con l'Egitto "non può essere a scapito dei diritti umani", il Gup di Roma ha fissato al 29 aprile l'udienza preliminare per i 4 agenti dei servizi segreti accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Regeni.



Il 25 gennaio 2016 alle 19.41 Giulio Regeni inviò dall'Egitto il suo ultimo sms. E di lui non si seppe più nulla fino al ‪3 febbraio, quando il cadavere, torturato, fu trovato su una strada tra Il Cairo e Alessandria. A cinque anni da quel messaggio la verità sull'assassinio del ricercatore friulano è ancora lontana, nonostante il lavoro della magistratura italiana e l'impegno del governo. A chiedere ancora giustizia e verità per Giulio Regeni è certamente la sua famiglia e in particolare la madre del ricercatore italiano, Paola Deffendi, che sui suoi profili social, ha diffuso una foto raffigurante una carriola di piante gialle a ricordo del figlio scomparso 5 anni fa.

Ansa

Il presidente del Parlamento europeo: giustizia per Regeni

"Il 25 gennaio, 5 anni fa, Giulio Regeni veniva sequestrato e poi brutalmente torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziane. Un sentito grazie alla magistratura italiana per l'importante lavoro svolto. Non ci stancheremo mai di chiedere giustizia". Così su Twitter David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, nell'anniversario della scomparsa di Giulio Regeni al Cairo, in Egitto.

Il presidente della Camera Roberto Fico: per Giulia chiediamo la verità

"Non ci fermeremo mai, fino a quando non avremo restituito il quadro completo delle responsabilità e dei soggetti coinvolti. A cinque anni dalla scomparsa di Giulio il pensiero va ai suoi cari, a Paola, Claudio e Irene. E va a tutti gli "altri Giulio" in Egitto e in tutto il mondo, ai quali questa ricerca di verità è dedicata". Così il presidente della Camera, Roberto Fico, su Facebook. "Cinque anni sono trascorsi dall'ultima traccia che Giulio ha lasciato, prima di essere rapito, torturato e ucciso. Una delle ferite più dolorose che il nostro Paese abbia vissuto, e che non potrà mai essere sanata. Per Giulio chiediamo, pretendiamo, tutti verità e giustizia".

La segreteria generale della Cisl: questo crimine non deve restare impunito

"Oggi ricordiamo il giovane Giulio Regeni a cinque anni dalla sua barbara uccisione. La sua famiglia e tutti gli italiani aspettano ancora verità e giustizia. Principi fondamentali di ogni convivenza umana. Come ha ricordato oggi il Presidente Mattarella: questo crimine non deve restare impunito". Lo ha scritto la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, in occasione del quinto anniversario dell'uccisione di Giulio Regeni.

Il segretario del Pd e governatore del Lazio: sostegno alla Procura di Roma

"Cinque anni fa il rapimento di Giulio Regeni, una tragedia, una ferita aperta per tutti. Ci uniamo all'appello con il quale oggi il presidente Mattarella ha ribadito il pieno sostegno alla Procura di Roma. Non smetteremo mai di chiedere alle autorità egiziane verità e giustizia. Per Giulio, per la sua famiglia. Per l'Italia". Così il segretario del Pd e governatore del Lazio, Nicola Zingaretti sui social.

La deputata di Fi: la giustizia ha il dovere di dare ai genitori di Giulio le risposte che meritano

"Sono passati cinque anni dal rapimento di Giulio Regeni e i suoi genitori sono ancora costretti a combattere per conoscere la verità. Una battaglia severa e composta, condotta con una dignità ammirevole, che fa di Claudio e Paola Regeni due cittadini esemplari. La giustizia ha il dovere di dare loro le risposte che meritano. Ci sta provando la Procura di Roma, nonostante il comportamento ignobile delle autorità egiziane". Lo scrive su Facebook Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia.


LE INDAGINI E LE TAPPE DEL PROCESSO

Dopo cinque anni di bugie e false piste, la procura di Roma ha chiuso l'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni e chiesto, la settimana scorsa, il processo per quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani: si stratta di Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Sono tutti accusati di sequestro di persona, e il solo Magdi Ibrahim Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell'omicidio del ricercatore friulano. E' stata fissata la prima udienza preliminare per il 29 aprile 2021.


Giulio venne rapito la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo, tante false piste si susseguirono: prima si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, successivamente si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l'aveva portato a farsi dei nemici. A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte.

Il 24 marzo del 2016 arrivò l'ennesima ricostruzione non credibile e questa volta c'erano di mezzo cinque morti: criminali comuni uccisi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane. In un clima del genere, il pm Sergio Colaiocco con l'allora procuratore Giuseppe Pignatone prima, e con l'attuale procuratore capo Michele Prestipino poi, hanno seguito in questi cinque anni il lavoro dei colleghi cairoti, coordinando le indagini di Ros e Sco. Dalle verifiche è emerso che il ricercatore era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento. Le analisi sui tabulati hanno messo in luce i numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si erano occupati di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi nel marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio.

Chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi. Abdallah chiedeva a Giulio di poter usare a fini personali, in modo illegale, una borsa di studio che il giovane, grazie a una fondazione britannica, voleva far arrivare al sindacato. La richiesta di Abdallah e la risposta di Giulio vennero immortalate in un video, girato dal sindacalista nel dicembre del 2015 con una telecamera nascosta, probabilmente su richiesta della polizia. Secondo chi indaga, potrebbe esser stato proprio il rifiuto di dare illegalmente quei soldi a segnare il destino di Giulio: forse, quando Abdallah capì che non avrebbe ricevuto per sé almeno una parte delle diecimila sterline in ballo, decise di denunciarlo per accreditarsi con la National security come un informatore adeguato, e segnò la tragica fine del giovane.

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