sabato 9 marzo 2019
La Procura ha archiviato il procedimento avviato dalla precedente gestione della Commissione adozioni internazionali per una serie di irregolarità in Congo. Griffini: la fine di un incubo
L'arrivo in Italia di un gruppo di bambini dal Congo e l'incontro con le famiglie adottive nel 2014 (Ansa)

L'arrivo in Italia di un gruppo di bambini dal Congo e l'incontro con le famiglie adottive nel 2014 (Ansa)

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Adozioni, adesso la lunga stagione dei veleni è ufficialmente finita. La Procura di Milano ha definitivamente archiviato il procedimento avviato dalla precedente gestione della Cai (Commissione adozioni internazionali) ai danni di Aibi, uno dei più importanti enti autorizzati per le adozioni, per una serie di gravi irregolarità riguardanti le procedure di adozioni in Congo. In pratica Aibi era accusata di ottenere il via libera alle adozioni dalle autorità del Paese africano dietro il pagamento di tangenti.

I minori, secondo gli addebiti mossi dalla Cai all’ente milanese, sarebbero stati sottratti alle famiglie di origine, imprigionati di fatto nell’orfanotrofio, e poi “venduti” ad Aibi che provvedeva a trasferirli in Italia alle famiglie in attesa di adozione. Ma nulla di tutto questo è realmente accaduto. La Procura ha ordinato l’archiviazione “per infondatezza della notizia di reato”.

La notizia assume un rilievo che va al di là del contenzioso tra la passata gestione della Cai e l’Aibi. Segna la fine di un lungo periodo che ha visto ombre pesanti allungarsi sull’intero sistema delle adozioni, quando al crollo generalizzato degli arrivi dei bambini in Italia, ma anche in Occidente, si è aggiunta una crisi di fiducia che ha minato la credibilità degli enti, i rapporti con le famiglie adottive, la collaborazione da tempo rodata tra tribunali minorili ed ente di controllo centrale (appunto la Cai).

«La fine di un incubo che da quasi sei anni ci ha sconvolto la vita. E ha reso quasi impossibile a noi lavorare e alle nostre famiglie proseguire in modo sereno il percorso adottivo. Ma ci rendiamo conto cosa significa per un ente che si occupa di adozione internazionale andare avanti con il sospetto di rubare i bambini, di comprarli in Africa per poi rivenderli in Italia?». Ha la voce spezzata Marco Griffini, fondatore e presidente di Aibi, mentre commenta il decreto di archiviazione del Tribunale di Milano che il 5 marzo scorso ha dissolto ogni dubbio. Nelle 600 pagine di accuse messe insieme dalla precedente responsabile della Cai, Silvia Della Monica, nei confronti di Aibi, non c’è nessuna notizia di reato.

Una conferma di quanto Aibi ha sempre sostenuto e di quanto hanno raccontato da subito le autorità del Congo: nessuna irregolarità. Come mai è stato necessario tutto questo tempo per arrivare alla verità?

Chi ci conosce sapeva benissimo qual è stato il nostro ruolo, chi ha una minima conoscenza del mondo delle adozioni sa benissimo che sono pratiche non solo eticamente inimmaginabili ma anche concretamente impossibili. Però contro di noi c’era la Commissione per le adozioni internazionali, cioè lo Stato, anche se si trattava dell’ex responsabile. Ora abbiamo risolto tutto.

Come è iniziata questa vicenda?

Già nel dicembre 2014 la vicepresidente della Cai ha presentato nei nostri confronti un esposto alla Procura di Roma e l’ha ripresentato nel febbraio del 2015. Però non è stata avviata alcuna indagine. Alcuni mesi prima di lasciare la vicepresidenza della Cai, Silvia Della Monica ha messo insieme un dossier di oltre 600 pagine, era il febbraio del 2017, e a questo punto il Tribunale di Roma ha passato tutto a Milano per competenza.

Con quali accuse?

Una serie lunghissima di reati penali: dal maltrattamento di minori all’ immigrazione clandestina. Ma le indagini non hanno portato a nulla. E’ emersa da subito la volontà di archiviare. Ma la verifica fondamentale è stata fatta sugli atti amministrativi compiuti dalla Cai stessa che tra i suoi poteri ha quello di sanzionare e anche di sospendere gli enti. Ebbene, nonostante avesse messo in piedi tutte quelle accuse penali nei nostri confronti, dal punto di vista amministrativo la Cai non ci ha mai mosso alcun appunto.

Insomma, all’Aibi non è mai stato impedito di continuare ad assistere le famiglie che volevano adottare un bambino?

Esatto. E i magistrati hanno sottolineato l’incongruenza. Se davvero avessimo collezionato tutti quei crimini, sarebbe stato urgente sospendere la nostra attività. Ma questo la Cai non l’ha mai fatto”.

Che idea si è fatto di tutta questa storia?

Non saprei davvero. Si sono fatte tante ipotesi ma tutto appare assurdo. Si dice che ci fosse un progetto per azzerare tutto il mondo delle adozioni. Ma sono cose che non stanno in piedi. Ci occupiamo di adozioni da 40 anni. Abbiamo lavorato bene con centinaia e centinaia di famiglie che ci conservano amicizia e gratitudine. Siamo contenti soprattutto per loro e per tutte le coppie che potranno continuare a guardare all’adozione come percorso possibile. Andiamo avanti con fiducia. Nessuno ha rubato i bambini”.

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