martedì 19 gennaio 2021
Per molti anni era stato un simbolo di forza e coraggio, aprì vie direttissime (dalla Paganella al Civetta), lasciando il suo nome sulla roccia
Cesare Maestri

Cesare Maestri - Collaboratori

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“Questa volta Cesare ha firmato il libro di vetta della scalata sulla sua vita. Un abbraccio forte a chi gli ha voluto bene». Così il figlio Gian Maestri, suo difensore nelle polemiche sulla scalata del 1959 al Cerro Torre, ha annunciato oggi la morte a 91 anni del “Ragno delle Dolomiti”. A molti sembrava immortale Cesare Maestri, leggendario sestogradista delle Dolomiti, che anche dal “girello” della vecchiaia negli ultimi anni sapeva guardare avanti: “Voglio vivere con dignità fino alla fine, ho imparato a non avere paura di essere ammalato e diventare debole”.

Proprio lui, che per molti anni era stato un simbolo di forza e coraggio: da quando arrampicava sui cornicioni dei “casoni popolari” di Trento a quando aprì vie direttissime (dalla Paganella al Civetta), lasciando il suo nome sulla roccia. Lo ricorda per sempre il “Diedro Maestri” , lo definisce quello stile personalissimo – come disse l’amico Marino Stenico – “proprio di un ragno”.

Il “Ragno delle Dolomiti”, appunto, immortalato in tanti film, riconosciuto con una laurea in pedagogia a Verona, premiato nella sua val Rendena per aver salvato la vita ad un centinaio di persone. Seppe “dare un senso alla vita”, come titolò l’ultimo libro di 5 anni fa, con quell’etica laica fissata in alcuni principi fraterni: rispetto della libertà degli altri, dei propri limiti e del pericolo: “la paura è il termometro del coraggio”.

Maestro di sci e guida alpina, fu partigiano e ispiratore di varie imprese umanitarie, solidale in questo col suo amico Armando Aste, cattolico e roveretano: “Non è che andando in montagna si diventi buoni – confessò Maestri a Piergiorgio Franceschini per Vita Trentina dieci anni fa - . Io sono non credente per scelta e non metto in dubbio il credo di qualcun altro. Anzi, credo che la fede aiuti, ma nello stesso tempo tenere fede alla propria fede è pesante ed è la cosa più bella del mondo. Mi guardo nello specchio e mi osservo con rispetto. Mi sento al capolinea e mi auguro di sparire prima che qualcuno dica: che rompi!”


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