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LA STORIA DI COLOMBINO

Gianfranco Ravasi giovedì 9 marzo 2006
Alla corte vivevano solo uomini forti e intelligenti. Soltanto Colombino era una nullità. Se qualcuno gli diceva: «Vieni a combattere!», rispondeva: «Io sono più debole di te». Se qualcuno lo interrogava: «Quanto fa due volte sette?», rispondeva: «Sono più ignorante di te». Se qualcuno lo invitava a saltare un ruscello, replicava: «Non ne sono capace». Il re, allora, gli chiese: «Colombino, che cosa vuoi diventare?». Ed egli rispose: «Non voglio diventare, sono già Colombino!». Peter Bichsel, ora settantenne, è uno dei più noti scrittori svizzeri, autore di racconti, molti dei quali composti per bambini, come questa «Storia di Colombino». Il contrasto tra chi considera la forza, la cultura e l'abilità come i valori decisivi e chi sceglie la coerenza con se stessi e la propria identità, coi suoi limiti e i suoi valori, è descritto in modo limpido e incisivo. Vorrei sottolineare l'aspetto fondamentale della risposta di Colombino: egli accetta se stesso, senza lasciarsi tentare dall'orgoglio e dall'illusione. Credo sia capitato a molti di incontrare persone che si sono per tutta la vita costrette ad essere diverse dalla loro identità profonda. Vivendo in una sorta di auto-inganno permanente, hanno cercato di ammantarsi di intelligenza mentre erano ignoranti, di benessere e forse erano di estrazione modesta, di rigore morale pubblico mentre praticavano vizi privati, di sicurezza di sé ed erano invece incerti e timorosi. Anche se queste menzogne diventavano per loro verità, gli altri scoprivano che «il re era nudo». E così si attuava quella situazione imbarazzante per cui alla fine tutti sapevano la realtà e solo l'illuso continuava nel suo sogno. Ritorniamo, allora, al proposito del Salmista: «Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze, ma sono tranquillo e sereno"» (131, 1-2).