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FINGERE DI NON VEDERE

Gianfranco Ravasi mercoledì 29 marzo 2006
Quanti colpi dovrà ancora sparare un cannone prima di tacere per sempre? Quanti anni potrà resistere un popolo prima di essere un popolo libero? Quante volte dovrà un uomo voltare la testa per far finta di non vedere? La risposta, amico mio, è sospesa nel vento. Il suo vero nome è Robert Zimmermann, ma è celebre come Bob Dylan, cantautore americano, 65 anni, uno dei miti della «controcultura» degli anni 60, grande creatore di canzoni, di ballate, di blues, nei quali s'intrecciano temi pacifisti, ecologici, populisti a tensioni mistiche e a inquietudini più profonde. I versi da noi citati rivelano appunto questo impasto, ma pongono domande serie che, purtroppo, nella storia non riescono ad essere esaudite perché «la risposta è (e rimane) sospesa nel vento». Vorrei porre l'accento su uno solo di questi interrogativi, quello che riguarda il «voltare la testa per far finta di non vedere». Questa scelta dello struzzo è, infatti, una pratica costante. Lo ricordava già lo stesso Gesù nella parabola del Buon Samaritano, quando del sacerdote e del levita diceva che, di fronte a quello sventurato incappato nei briganti, essi erano «passati oltre dall'altra parte» della strada (Luca 10, 31-32). Quante volte anche noi preferiamo distogliere lo sguardo o fingere di non vedere o essere colpiti da improvvisa fretta di fronte ai drammi degli altri. Oppure siamo pronti a reclamare l'intervento delle autorità o della polizia o delle istituzioni latitanti. Aveva certamente ragione - almeno parzialmente - Pasolini quando in una sua poesia, già da noi citata in altre occasioni, scriveva: «Peccare non significa fare il male:/ non fare il bene, questo significa peccare». Dobbiamo più spesso confessare il peccato grave di «omissione».