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Editori: non basta essere «piccoli»...

Goffredo Fofi venerdì 16 dicembre 2016
Nella deriva culturale della grande editoria e delle sue concentrazioni, che puntano tutto sulla quantità di tomi sfornati, debitamente colorati e chiassosi, a intasare le librerie-supermercato, restava e resta la speranza, per chi ha a cuore le sorti della nostra cultura e cioè della nostra civiltà, nella piccola e media editoria (tra le grandi marche, mi fa soprattutto soffrire la deriva di quelle per le quali in passato ho lavorato, pagato poco ma con la convinzione di un'impresa meritoria…). A Roma Eur c'è stata di recente una nuova edizione della fiera della piccola e media editoria e si avuto modo, corridoio per corridoio, di farsi un'idea più precisa di come vanno le cose tra i "minori", ricavandone impressioni contrastanti, ma perlopiù sconfortanti. Non tutti i minori, i piccoli, i marginali sono di per sé bravi, necessari, belli – e questo è vero anche in altri campi, per esempio il cosiddetto "sociale". Potremmo tranquillamente segnalare le iniziative non superflue, anche perché non sono purtroppo molte, ma è preferibile non far nomi, non seminare zizzania. E le altre? Su 10 iniziative, se ne salvano mediamente una o due. Aggirandosi tra i vari stand si resta sbalorditi dalla quantità di libri frivoli o di scelte maniacali, sempre attuate però nella convinzione di servire a qualcosa e che investire nella "cultura", "fare cultura", sia il non-plus-ultra che giustifica soldi e fatiche. Ma è poi di fatica che si tratta, o non di un hobby come tanti, esercitato da chi dispone di un po' di euro e, non sentendosi abbastanza "creativo", è convinto di lasciare qualche segno in una catena più nobile, mettiamo, di quella dei salumieri o dei professori – i quali anzi accorreranno, lusingandolo per farsi pubblicare le loro pensate? La "produzione di cultura" è da tempo un fenomeno di massa, nei centri come nelle periferie, ed è giocoforza constatare l'esistenza, oltre a quello degli "scrittori" (narratori e saggisti) e degli "artisti", di un narcisismo dei piccoli editori non meno banale. Quante energie e quanti denari sprecati per produrre libri immediatamente dimenticabili o
già morti prima di nascere. È il trionfo dell'inutile, sia "serio" che ameno. Ancora una volta, non basta essere piccoli o marginali per essere utili e belli. Quanto spreco e quante sciocchezze, nel nome della cultura!