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Dieci minuti alle venti

Marina Corradi mercoledì 9 gennaio 2013
Milano, 1987 – Teatro alla Scala, dieci minuti alle venti. Dietro il pesante sipario di velluto bordeaux sobbolle un mondo fantastico, che il pubblico ignora. È come un transatlantico in partenza il vecchio teatro, la sera di una "prima". Nei camerini all'ultimo piano le coriste si allacciano i busti stretti dei costumi, si scambiano spille e trucchi, in una consumata sapienza femminile. Da un ascensore che ti si apre davanti può scendere una schiera di mozzi laceri del Vascello Fantasma: ma parlano del Milan, e vanno a farsi un caffè alla "cambusa", il bar interno col soffitto basso, stretto, come schiacciato nel ventre di una balena. Prima, seconda, terza chiamata: la grande nave sta per salpare, tutti al loro posto. Giù per le scale strette sfarfallano le coriste, il gesto antico di reggere con la mano le gonne lunghe, ritrovato.Si alza il sipario. Cos'è più vero, il mondo fuori o non invece, dietro, questo straordinario sogno? Ora che ho visto le lunghe prove del coro, e la fatica perché una sola nota sia perfetta, tremo anche io un po', come loro. Dietro quel sipario che uomini, che facce. Mi resta in mente quella di un vecchio corista: «Quando ero giovane – dice – mi piaceva colmare il "Va' pensiero" con la mia voce tonante. Ma ora, invece, mi sembra una preghiera».