Opinioni

“Soft power”. Una diplomazia dei valori fa pace in sinergia con gli attori religiosi

Pasquale Terracciano domenica 16 ottobre 2022

Caro direttore,

il ritorno della guerra nel cuore dell’Europa e lo spettro del ricorso all’arma nucleare sono i segni più evidenti e drammatici della crescente polarizzazione delle relazioni internazionali. Ci riportano a una visione “a somma zero” del potere, dove un aumento della propria influenza è tale solo se è accompagnato da un corrispondente arretramento dell’avversario. Minacce, coercizione, uso delle risorse come armi di ritorsione sono caratteristiche di un ordine internazionale “hobbesiano”, antitetico al cosmopolitismo “kantiano”. Inevitabile, quindi, chiedersi se sia ancora attuale il modello multilaterale e cooperativo incarnato dalla Carta delle Nazioni Unite e che ha sempre ispirato la politica estera dell’Italia dal secondo dopoguerra novecentesco. In altri termini, una diplomazia fondata sui valori – pur se tesa alla ricerca di soluzioni di compromesso – rappresenta una forza o una debolezza? Riflette il passato o il futuro delle relazioni internazionali?

La storia ci mostra che tutti gli imperi sono destinati a perire e che l’anelito verso la democrazia e il rispetto dei diritti umani è un bisogno universale, anche se percorsi, tempi e declinazioni concrete devono necessariamente riflettere le peculiarità storiche e culturali di ciascuna nazione. Gli autoritarismi, l’uso della forza militare, il ricorso all’arma della disinformazione possono ritardare o ostacolare questi processi, ma non arrestarli né tantomeno invertire la tendenza. Se riconosciamo la validità del nesso tra pace, stabilità, diritti umani e sviluppo sostenibile, cogliamo allora tutto il potenziale di una diplomazia che pone al centro della propria azione la persona e che non rinuncia a interagire con la società civile, in patria e all’estero, neppure nei frangenti più complicati.

Il soft power è descritto come la capacità di uno Stato di influenzare senza condizionare, di persuadere con la forza dell’esempio e con l’attrattiva di un modello. La diplomazia pubblica è l’insieme degli strumenti concepiti per conservare, sviluppare e proiettare il proprio soft power. Si distingue da quella intergovernativa per il fatto di rivolgersi alla società civile anziché ai vertici istituzionali di uno Stato. La diplomazia pubblica è altra cosa anche rispetto alla propaganda: la prima si fonda sull’ascolto aperto e sull’interazione reciproca, la seconda presuppone un flusso a senso unico e punta a trasmettere un’immagine sovradimensionata o solo parzialmente genuina. Posta al centro del Mediterraneo, porta di accesso a tre continenti e crocevia di popoli, culture, religioni e lingue, l’Italia ha il dialogo nel proprio Dna. Il dialogo non è una forma di opportunismo o un modo di mascherare l’impossibilità di ricorrere a una forza di cui non si dispone, bensì una scelta consapevole, che poggia su una visione articolata degli equilibri e delle tendenze dell’ordine internazionale.

Da tempo, ormai, la politica estera non è più dominio riservato degli Stati. Come si sono moltiplicati i temi trattati, così si è allargata la platea degli attori con un ruolo attivo nel contesto internazionale. L’attività diplomatica deve seguire e rispecchiare l’evoluzione della società nel suo complesso, se vuole mantenere intatta la propria efficacia. Così, in un mondo in cui i processi di secolarizzazione non hanno ridotto la rilevanza del fattore spirituale e trascendente nelle vicende umane, la politica estera deve ricercare sinergie anche con gli attori religiosi, come parte dello sforzo volto a trovare risposte comuni alle necessità più pressanti e alle principali sfide globali. L’Italia vanta un’esperienza storica e un’eredità culturale che le conferiscono una straordinaria capacità di comprensione della portata dell’elemento religioso nelle sue diverse sfaccettature, come fattore di pace o – se strumentalizzato – elemento di tensione, come veicolo di sviluppo integrale o strumento di coercizione quando ne viene snaturato il messaggio per seminare divisione e odio. Questa sensibilità è una delle diverse declinazioni del soft power italiano. Favorire il dialogo tra persone e comunità di fede o credo diversi, proteggere e promuovere la libertà di religione o credo – senza la quale lo stesso dialogo perderebbe potenziale – e ricercare sinergie con gli attori religiosi sono tasselli centrali nella nostra azione a sostegno di pace, stabilità e prosperità in Europa, nel suo vicinato e nel mondo.

Ambasciatore, direttore generale per la Diplomazia pubblica e culturale del Ministero degli Esteri