Opinioni

Guerre, saccheggi, ingiustizie. Se ci scordiamo l'Africa ci dimentichiamo il futuro

Marco Impagliazzo domenica 19 febbraio 2023

Uno dei fenomeni che si verificano più di frequente nel contesto del sistema informativo globale è il passaggio dalla luce dei riflettori all’oscurità più completa. L’oblio – secondo alcuni studiosi del fenomeno – è la modalità in cui si entra nel momento in cui ci si trova di fronte a una problematica complessa, di non facile soluzione o che richiede una buona dose di applicazione, costanza e visione. È la nostra reazione, il nostro meccanismo di difesa di fronte a una supposta insolubilità della questione.

Un tipico esempio è l’Afghanistan, scomparso dalle nostre cronache all’indomani della seconda presa di Kabul da parte dei Talebani, forse perché, come scriveva Marco Tarquinio domenica scorsa, si è voluto scordare «il drammatico risultato di vent’anni di guerra, mossa dall’Occidente sin dentro i confini di un altro Stato, di montagne di vite e di miliardi di dollari gettati nella fornace del cinismo politico, dell’industria delle armi e della disumanità organizzata».

La dimenticanza riguarda ancor di più l’Africa, il vero continente ignorato dal turbinio mediatico. per “bucare” la cortina di indifferenza e di oblio che la isola dai titoli dei notiziari, i suoi drammi devono essere davvero epocali. Per “catturare” l’opinione pubblica internazionale le sue guerre devono diventare genocidi. Di conseguenza l’Africa sembra molto lontana dall’Europa mentre è il continente più vicino, quello che ci sta di fronte e con cui abbiamo tanta storia recente in comune. L’Africa fa poco notizia, tranne che in alcune testate come “Avvenire”, “Domani”, le riviste missionarie e poche altre eccezioni. Questo è uno dei mille motivi per cui il viaggio pastorale di papa Francesco è stato un fatto straordinario per il continente. L’Africa per qualche giorno è stata oggetto di curiosità e di interesse: si è parlato dei suoi mali, dei conflitti etnici, delle violenze sui civili, del saccheggio del sottosuolo, della corruzione, delle malattie, della povertà. Si è anche detto delle sue grandi risorse e opportunità, dell’abbondanza di materie prime, della giovinezza della popolazione, della voglia di costruire il futuro, dell’impegno di testimoni eroici e di una società civile vivace, di coscienza umana e spirituale. Qualcuno ha osato immaginare il suo riscatto.

Come ha detto il Papa nell’udienza di mercoledì scorso, il viaggio nella Repubblica Democratica del Congo è stato per lui l’incontro con «un diamante, per la sua natura, per le sue risorse, soprattutto per la sua gente; ma questo diamante è diventato motivo di contesa, di violenze, e paradossalmente di impoverimento del popolo. È una dinamica che si riscontra anche in altre regioni africane, e che vale in generale per quel continente colonizzato, sfruttato, saccheggiato. Di fronte a tutto questo ho detto due parole: la prima è negativa: “Basta!” Basta sfruttare l’Africa! Il Signore ascolti il loro grido che invoca pace e giustizia». La tappa a Juba è stata soprattutto un pellegrinaggio di pace: «Il neonato Sud Sudan è vittima della vecchia logica del potere, e della rivalità, che produce guerra, violenze, profughi e sfollati interni. Ed è vergognoso che Paesi cosiddetti civilizzati offrano un aiuto che consiste in armi, armi, armi per fomentare la guerra. Si deve andare avanti dicendo “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo. Solo così potrà esserci sviluppo, la gente potrà lavorare in pace, i malati curarsi, i bambini andare a scuola».

Francesco è tornato dall’Africa e non se n’è dimenticato. Che ciò avvenga anche ai nostri media e a tutti noi: uscire dal nostro vittimismo egoistico per guardare oltre. C’è un imperativo morale: non possiamo scordarci – nel significato etimologico del termine di “non stare più a cuore” – di quel continente, delle sue angosce e delle sue speranze. Siamo tutti coinvolti, parte in causa, di quanto accade a sud del Mediterraneo, come ha sottolineato il Papa. Che la nostra scelta non sia l’oblio ma un rinnovato senso di responsabilità, di interesse reciproco, di tensione unitiva e costruttiva verso chi, per molte ragioni – fosse solo la crescita demografica – costituisce tanta parte del futuro del nostro mondo.