Opinioni

La giornata dei missionari martiri. Scelte chiare, parole limpide

Giulio Albanese sabato 23 marzo 2019

Le uccisioni, avvenute in questi giorni, di due sacerdoti, in Camerun e Nigeria – rispettivamente il padre cappuccino Toussaint Zoumaldé e padre Clement Ugwu, del clero di Enugu – sono le ultime di una lunga serie e sono sintomatiche del malessere in cui versano le periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.

Gli atti di violenza non si limitano però ai sanguinosi fatti, già di per sé gravissimi, che riguardano spesso i missionari/e. Il loro martirio, infatti, si fa sempre più dolore per la diffusione, le motivazioni e le conseguenze dei fenomeni che generano morte e distruzione, dall'Africa, all'America Latina, dal Medio all'Estremo Oriente. Basti pensare all'arruolamento forzato di bambini soldato e di baby kamikaze, giovani attirati nelle spire dell’inganno; tante famiglie gettate nella disperazione... Basti a pensare alle molte attività produttive soffocate dalle estorsioni; alle tante vite stroncate; a una diffusa rassegnazione tra le popolazioni, quasi si trattasse di calamità ineluttabili.

Ecco perché ancora oggi, di fronte ai tanti misfatti che assillano il mondo globalizzato, in forza del loro battesimo, i nostri missionari/e non possono tacere di fronte al dilagare del male, facendo tesoro dell’insegnamento del profeta: «Per amore del mio popolo, non tacerò» (cfr. Is 62,1). Ed è proprio questo lo slogan dell’odierna Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri. Una data, peraltro, che coincide con l’uccisione il 24 marzo 1980 di monsignor Oscar Arnulfo Romero, recentemente elevato all’onore degli altari. E se da una parte è vero che questo santo e coraggioso pastore sperimentò incomprensioni a non finire – in vita, ma anche dopo la morte – dall'altra, proprio in forza della sua indiscussa fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, si fece povero per i poveri, dando voce a chi non aveva e ancora non ha voce.

Con il risultato che il suo "torto" – quella parzialità che gli attirò incomprensioni e accuse durissime, anche all’interno della Chiesa, quello stare dichiaratamente dalla parte dei campesinos e dei perseguitati – è oggi riconosciuto, particolarmente in America Latina, nella fede, come una straordinaria grazia. Egli infatti si espresse sempre con libertà e franchezza evangelica, affermando la parresia, il coraggio di osare, come attestano, ad esempio, le sue famose prediche domenicali alla Messa delle otto, nelle quali, confrontava gli insegnamenti del dettato evangelico con quanto stava avvenendo nel suo Paese. Questa osmosi tra Parola di Dio e vita del popolo è stata una delle principali caratteristiche del modo con cui il vescovo Romero attualizzava la Buona Notizia: «Non stiamo parlando alle stelle», amava ripetere.

Nel contesto della nostra Chiesa italiana, la sua testimonianza di vita, com’è noto, ha trovato accoglienza innanzitutto e soprattutto negli ambienti del mondo missionario. Basti pensare al fatto che proprio il 24 marzo del 1993 si celebrò, a livello nazionale, la prima Giornata dei martiri missionari, istituita dal Movimento giovanile missionario delle Pontificie Opere Missionarie, oggi Missio Giovani. Anche quest’anno, il variegato areopago giovanile di Missio intende dare un segno di compartecipazione alla "passione" che la Chiesa missionaria, con la lode, il digiuno e l’elemosina, offre tradizionalmente in Quaresima. Non ignorando chi nella Chiesa inquina la testimonianza con scandali ingiustificabili – come nel caso aberrante della pedofilia – la testimonianza di monsignor Romero e dei tanti missionari/e caduti sul campo è potente.

La lapide posta sulla tomba del grande pastore salvadoregno riporta fedelmente il suo motto episcopale: Sentir con la Iglesia. La sua vocazione è stata, infatti, fedelmente ancorato alla Chiesa. Una Chiesa dei poveri che monsignor Romero servì fedelmente nei tre anni in cui svolse il ministero episcopale come arcivescovo di San Salvador, sempre attento al grido del suo popolo. Come scrisse di lui un suo grande estimatore, il compianto cardinale Carlo Maria Martini, monsignor Romero è stato «un vescovo educato dal suo popolo». Missionario, anche per questo.