Opinioni

Il Papa, l'umanità, la civiltà europea. Richiamo all'essenza

Riccardo Maccioni martedì 7 dicembre 2021

È una questione di vocabolario, per chiamare l’orrore con il suo nome. Di braccia, che sollevano chi cade e tirano giù i muri. Di occhi, perché anche il cuore parla con il viso, e solo guardando insieme agli altri si può pensare e disegnare un futuro diverso. Il viaggio del Papa in Grecia e a Cipro è stato un richiamo all’essenza dell’umanità, dell’autentica civiltà europea, e a tutti modi che esistono per difenderla e farla crescere. Non solo l’ennesima denuncia della vergogna delle barriere contro i poveri, che pure c’è stata e forse mai con discorsi altrettanto perentori, ma un itinerario politico, nel senso più nobile del termine, che quando si sposa con il Vangelo esce dal recinto dell’ideologia per diventare servizio pastorale, cioè ricerca del bene comune declinato come carità, come amore.

La visita in fondo ha toccato un fazzoletto di poche centinaia di chilometri però il suo respiro ha abbracciato un continente intero. E un sogno comunitario, quello dell’Unione, sempre più a rischio fallimento. A minarlo sono le scorciatoie per aggirare la complessità dei rapporti tra nazioni e dentro le società. Le ricette facili, rassicuranti dei populismi, l’autoritarismo «sbrigativo», la paura che arma la difesa del privilegio. E, dall’altra parte, la rinuncia a se stessi, l’annacquamento della propria identità, in nome di un politicamente corretto che diventa l’olio su cui far scivolare i conflitti, nell’illusione che evaporino come le polveri sottili dopo un giorno di vento. E invece stanno lì, quasi rafforzati dalla scelta del rinvio, che peraltro sembra non pagare più neanche a livello elettorale. Da Atene Francesco lo ha denunciato con chiarezza, oggi la democrazia è messa in pericolo dalle polarizzazioni esasperate, dal ridurre il pensiero alto a miseri interessi di bottega, dall’accettazione finanche del ridicolo pur di blindare il consenso.

Una deriva cui il Pontefice ha opposto il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal tifo urlato dal balcone allo sporcarsi le mani nel nome del dialogo. In fondo, è la ricetta dei padri dell’Europa, e non a caso il richiamo è andato a De Gasperi e al suo discorso di Milano, del 1949: «Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti» verso «la giustizia sociale». Che alla luce del Vangelo significa molto più della tolleranza, vuol dire solidarietà generosa, «di fatto» come diceva Robert Schuman e, in un crescendo virtuoso, consapevolezza dell’appartenenza a un’unica famiglia umana, fraternità, comunione.

Il sogno dell’Unione non è fallito, sembra suggerire il Pontefice, si tratta di aggiornarlo, di impegnarsi nella costruzione di un nuovo umanesimo che, citando il discorso del 2016 al conferimento del Premio Carlo Magno, si fonda su tre capacità: «capacità di integrare, di dialogare e di generare». La Chiesa, con i suoi figli e figlie, può, in questo. giocare un ruolo fondamentale, cominciando, com’è nel suo Dna, dal basso, dall’andare incontro alle ferite dell’uomo, dal circondare con il suo abbraccio di misericordia e di perdono chi compie un passo falso ma poi sa riconoscere il proprio errore.

Più che sognatori e maestri oggi servono davvero testimoni, oltre all’ardimento c’è bisogno di pazienza, e se un coraggio andiamo cercando è quello che fa rima con chiarezza, capace di chiamare bene il bene e male il male. Come i muri, le barriere, i 'lager' costruiti sulle coste del Mediterraneo, che sono vernice nera sull’anima delle popolazioni civili, catastrofe del bene comune, «naufragio di civiltà». Ma la denuncia da sola non basta, servono braccia per sollevare chi fa fatica, servono mani unite nella preghiera, servono scarpe solide per incamminarsi sul sentiero, culturale prima e fisico poi, che porta ad abbattere le barriere, recuperando l’insegnamento di Elie Wiesel, il Nobel per la pace richiamato dal Papa a Lesbo: «Quando le vite umane sono in pericolo, quando la dignità umana è in pericolo, i confini nazionali diventano irrilevanti ».

A Cipro e in Grecia, quei fratelli recintati dalla miseria hanno come in ogni geografia della povertà, volti, storie, nomi. Sono le parole e il cuore di un’Europa che non può e non deve smarrire la sua vocazione di democrazia solidale. Sono la paura e la speranza di ogni uomo e ogni donna che chiede aiuto per non perdere la dignità di essere umani.