Opinioni

Divari regionali e alternative utili. Più «capitale sociale» per riunire Nord e Sud

Leonardo Becchetti giovedì 28 giugno 2018

L’Italia è un Paese che ha in pancia pezzi di Germania e pezzi di Grecia. I dati rilasciati lunedì 25 giugno 2018 dall’Istat sullo spaccato regionale di crescita e occupazione confermano divari territoriali che non hanno eguali in altri Paesi europei. La nostra estensione in lunghezza è una ricchezza se guardiamo al patrimonio artistico e culturale e alla biodiversità naturale che si traduce in biodiversità enogastronomica. Ma è anche un grave limite se andiamo a osservare i divari di condizioni economiche tra le diverse Italie. I dati congiunturali del 2017 confermano che non c’è convergenza (ovvero non c’è recupero delle Regioni più arretrate rispetto a quelle più avanzate) come invece avviene da tempo tra il continente asiatico e quello europeo. Il Nord è cresciuto nel 2017 dell’1,8%, il Sud dell’1,4% e il Centro solo dello 0,9% con una dinamica particolarmente debole del settore del commercio e dei servizi che conferma come lo choc sismico non sia stato ancora pienamente riassorbito in termini di ripresa dei centri urbani.

Questa dinamica congiunturale non mette in moto processi di convergenza, mentre conferma ed esaspera le differenze strutturali di occupazione che in Alto Adige è ai minimi fisiologici (2,5%), nelle maggiori città del Nord come Milano, Bologna e Trieste attorno al 6%, mentre a Napoli e Palermo arriva attorno al 24%.

Nonostante le trasformazioni demografiche e la flessibilità dei movimenti di persone in questa nostra epoca (e i flussi migratori di giovani che abbandonano il Mezzogiorno), i divari dei tassi di disoccupazione non tendono dunque a ridursi in modo significativo. Per interpretare appieno le nuove statistiche dovremmo disporre anche delle variazioni dell’economia sommersa che ha distribuzione speculare rispetto alle dinamiche di quella emersa (arriva al 21,3% nel 2016 in Calabria contro il 10,7% a Bolzano). Il problema del Sud dunque non è solo un problema di mancata crescita ma anche un problema di emersione. Per capire appieno quello che accade e trovare soluzioni al problema strutturale dobbiamo guardare la distribuzione dei fattori di sviluppo nelle diverse aree. La differenza Nord-Sud non può essere spiegata da divari dei livelli d’istruzione, ma molto di più da capitale sociale e qualità delle istituzioni locali. La moderna “teoria dei giochi” ci insegna che la vita economica è un gioco di squadra dove fiducia e meritevolezza di fiducia sono il collante che consentono a gruppi e organizzazioni di superare i dilemmi sociali che paralizzano la cooperazione. Basta guardare la storia della cooperazione agricola nel nostro Paese per osservare che quasi tutte le iniziative di aggregazione che hanno consentito ai singoli produttori di risalire la catena del valore e arricchirsi sono nate nel Nord (da Melinda, a Conserve Italia a Coprovi) mentre al Sud produttori con beni di maggiore qualità non sono mai riusciti a mettersi insieme sono ancora oggi vittima del potere contrattuale dei grossisti locali. La criminalità organizzata spiega una parte del problema, ma non tutto (ad esempio non spiega il basso capitale sociale di Sardegna e Abruzzo) ed è in parte causa ma, allo stesso tempo, in parte, conseguenza dello scarso capitale sociale. La lotta tra virtù civiche e illegalità sui territori è molto simile a quella tra virus e anticorpi negli esseri umani. Più le virtù civiche sono deboli e più l’illegalità si fa spazio. Le ricette per il riscatto del Sud sono ben note, ma vanno applicate con energia.

Particolarmente prezioso è quel lavoro di costruzione del tessuto e del capitale sociale che sta facendo Fondazione con il Sud nel Mezzogiorno attraverso la formazione dei quadri e il meccanismo degli acceleratori sociali. Non si danno aiuti economici a prescindere, ma se le organizzazioni nei territori dimostrano di crescere nella coesione e mettono assieme un capitale sociale superiore a una soglia minima, Fondazione con il Sud raddoppia la cifra e fa nascere una fondazione di comunità. Importante proseguire l’idea delle zone economiche speciali alla cinese dove si creano condizioni particolarmente favorevoli in materia di tassazione e burocrazia, aumentando quella qualità delle istituzioni che è uno dei limiti maggiori del Mezzogiorno. E importante proseguire le politiche di stimolo agli investimenti e all’imprenditoria giovanile con progetti come quelli di “Resto al Sud” dove si premiano i progetti innovativi e, anche in questo caso, la capacità di aggregazione dei singoli imprenditori. I recenti dati sulle dinamiche regionali di reddito e occupazione confermano, perciò, un assunto fondamentale: la mobilità di capitali e di persone (e le dolorose dinamiche demografiche) non bastano a mettere in moto processi che riducano i divari economici regionali. Dobbiamo lavorare più efficacemente sul capitale sociale e sulla qualità delle istituzioni se vogliamo pensare di invertire la rotta.