Opinioni

Il direttore risponde. Pianeta carcere, ecco le voci che aiutano a capire

giovedì 1 luglio 2010
Caro direttore,le scrivo perché non riesco ad "accettare" così come è la riflessione di Vincenzo Andraous su Avvenire del 16 giugno. Concordo su qualcosa, ma non è tutto e solo così negativo, sia dentro il carcere sia nei suoi dintorni. Come associazione Ariaperta di Cuneo lavoriamo in coordinamento con tutti i volontari del Piemonte; così pure abbiamo un coordinamento noi suore – circa 230 – che lavoriamo in tanti istituti in tutta Italia, e con tante fra loro ci teniamo in costante contatto. Sì, c’è ancora qualche carcere che è un po’ un "deserto", ma in genere ci sono reti di associazioni, gruppi di volontari, collaboratori vari, rapporti con scuole, associazioni, enti. Da noi, qui a Cuneo, c’è stato un anno intero proposto dalla Caritas per iniziative dentro il carcere, per sensibilizzare la gente e tessere relazioni e rapporti con strutture ed enti. L’associazione Ariaperta di cui faccio parte, lavora molto sia all’interno che all’esterno del carcere: colloqui, corsi, aiuti vari all’interno; e all’esterno casa di accoglienza, accompagnamento per permessi, e così via. Abbiamo una volontaria ex insegnante – ormai specializzata – che viene invitata in tutte le scuole superiori di Cuneo e incontra decine e decine di ragazzi e ragazze. E poi, alcune scuole, come il Liceo Scientifico, portano ogni anno gli alunni maggiorenni a visitare il carcere (negli ambiti possibili). E per il carcere c’è un po’ di attenzione anche da parte della stampa locale, e noi volontari siamo tutti disponibili e aperti a incontri con chi – parrocchie e gruppi vari – vuole sentire cosa è, come è e come dovrebbe essere il carcere. In oltre venti anni ho incontrato tantissimi detenuti di ogni età e situazione – da condanne lievi all’ergastolo – e scrivo a decine e decine di detenuti un po’ in tutta Italia. È vero che qualcuno non regge alla carcerazione, ma dire che il carcere è un luogo «dove ci si perde per sempre», mi pare non vero ed esagerato. Ci sono detenuti che non "affondano", che si tengono a galla e reagiscono ai limiti del carcere in modo positivo. Ci sono percorsi meravigliosi di uomini e donne che non solo non perdono il senso della loro dignità di persone, ma diventano capaci di atti generosi e belli, nonché di realizzazione di sé nello studio e nel lavoro. Certo, la società è sempre stata "incapace" nella prevenzione e nel comprendere la "funzione" del carcere, ma da venti anni a questa parte stava facendo passi positivi. Ecco, da un po’ di tempo si sta tornando indietro. A livello politico si parla soltanto di sicurezza, di stranieri delinquenti, di carcerazione sicura, di carcere duro, di costruzione di nuove carceri. Non si parla più di carcere umano, carcere che umanizza, riabilita, dà speranza. E i mass media amplificano queste voci allarmate e allarmanti. Nessuno dice che chi sbaglia è persona con diritti e doveri come gli altri. Forse solo Avvenire è davvero attento alla prevenzione, alla giustizia e a cosa vive dentro il carcere. Grazie, continuate così.

suor Caterina Elsa Galfrè, Cuneo

Quella di Vincenzo Andraous, carissima suor Caterina, è una voce «di dentro» con il suo tono e i suoi particolari accenti. Voci così ci aiutano a capire il pianeta carcere in una dimensione per noi altrimenti inconcepibile. La sua – glielo dico con infinita gratitudine – è invece una voce più profonda e completa, come solo possono essere le voci – e le vite – che si irrobustiscono e si spezzano nel dono gratuito di sé. È grazie a persone e sorelle come lei che il dolore di chi è «dentro» e le paure di tanti «fuori» vengono illuminati diversamente e ricondotti all’umanità della speranza e della condivisione. Gliene siamo tutti debitori: noi siamo solo cronisti, il lavoro più prezioso è il suo.