Opinioni

Ema non verrà, altre sfide incombono. Per vincere tra 10 anni (il posto di Milano)

Massimo Calvi giovedì 23 novembre 2017

Milano non ha perso la gara per l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco: l’ha vinta, insieme ad Amsterdam. A stabilire la nuova sede dell’authority, come si sa, è stata un’estrazione a sorte, un meccanismo più crudele della lotteria dei rigori con la quale si vincono e si perdono le grandi finali. Tuttavia i paragoni sportivi che molti hanno fatto ricamando sulla competizione per l’agenzia europea funzionano fino a un certo punto, perché la Milano che è arrivata in finale è il contrario di una squadra, una città, che sta declinando. Dieci anni fa probabilmente non ci sarebbe stata nemmeno gara, oggi il capoluogo lombardo dimostra di essere diventato competitivo e attraente come forse mai lo è stato in passato, una metropoli che negli ultimi anni ha accelerato arrivando non solo a superare molte città modello in Europa, ma avvicinandosi moltissimo al livello delle grandi capitali mondiali.

Proprio in questo senso, ossia nella direzione di una metropoli che da una possibilità sfumata sa cogliere un’opportunità per migliorarsi, può essere interessante tentare di capire quale lezione può essere tratta dall’occasione mancata dell’Ema. E un aiuto può venire dalla classifica delle preferenze che proprio i dipendenti dell’Agenzia del farmaco avevano compilato una volta interpellati sulla destinazione preferita. La domanda in buona sostanza era: dovendo lasciare Londra, in quale tra le città candidate vorreste trasferirvi con le vostre famiglie? Bene, i funzionari Ema avevano messo al primo posto proprio Amsterdam, seguita da Barcellona, poi Vienna, Milano, Copenaghen, e via via le altre città. La cosa positiva è che Milano, seppur distanziata di 12 punti percentuali, era stata di fatto messa tra le mete per niente sgradite, tutt’altro. Una città top, insomma.

A pensarci bene, però, questa graduatoria può bruciare più della bocciatura arrivata per un’estrazione a sorte. Perché costringe ad aprire gli occhi e superare quel velo di legittima retorica nazionale che accompagna necessariamente ogni competizione. Andiamo oltre l’Ema, ora, seppelliamo la questione dell’Agenzia del farmaco, che tutto sommato possiamo archiviare come una vittoria morale, e chiediamoci invece: cosa possiamo fare perché tra dieci anni Milano possa essere in testa anche a una semplice classifica compilata dai cittadini, dai suoi abitanti e da quelli che potrebbero sceglierla per vivere?

È a questo che dovrebbe pensare chi governa una grande metropoli, a prescindere dal fatto che qualcuno vi si debba trasferire per semplici ragioni di lavoro. Ed è da questa prospettiva che probabilmente si colgono meglio i margini di miglioramento di una città. Certo, Amsterdam è vicina a Londra, a Bruxelles, a Francoforte, è vicina al cuore pulsante dell’Europa. L’Olanda inoltre è un Paese che oggi offre prospettive finanziarie più stabili e rassicuranti di quanto non riesca a fare l’Italia. Ma queste sono condizioni di fondo e di contesto che non sono gestibili dalla città. Quello a cui invece Milano può e deve guardare è un argomento che tocca più da vicino la vita dei suoi cittadini e di chi in qualche modo grava sulla metropoli: la qualità della vita.

Qualità della vita intesa come bellezza dei suoi ambienti urbani, del centro come delle periferie; come facilità e sostenibilità ecologica degli spostamenti al suo interno; come capacità di inclusione sociale anche nella fruizione di servizi e spazi urbani di qualità. Il problema di Milano non è solo lo smog che ogni anno si ripropone in tutta la Pianura Padana come emergenza, è anche e soprattutto la capacità di guardare al suo stesso sviluppo e al suo stesso tessuto connettivo mettendo sul medesimo piano le opportunità edilizie con quelle ambientali, il business e gli affari con la vivibilità, la ricerca del profitto con la lotta all’emarginazione. È un passo che richiama la necessità di pensare al proprio destino come area metropolitana, una capitale del Nord da quasi 4 milioni di abitanti governata e pensata nel suo insieme, non come un piccolo centro delimitato dall’'Area C'.

Questo salto culturale in parte è già stato fatto, in verità, Milano è oggi un esempio virtuoso in termini di innovazione urbana, il problema è che il processo è partito tardi e oggi ha bisogno di una decisa accelerazione politica. La forza di una città non si misura solo dalle partite che vince, ma dai suoi valori, dalla capacità di progettare per attrarre le persone, le famiglie, e anche i sogni.