Chimera del mondo diviso in blocchi. Nuovo ordine, vecchi schemi
L’invasione russa dell’Ucraina, la preoccupante crescita militare, politica ed economica della Cina, la crisi economica, la messa in discussione della globalizzazione e le tensioni interne all’Occidente producono – fra i tanti – un ulteriore effetto preoccupante, quello di riportarci a una visione nuovamente bipolare delle relazioni internazionali, con la tanto citata “ripolarizzazione del mondo”.
Reazione in fondo comprensibile: l’Occidente ha vinto, senza sparare un colpo, la Guerra Fredda e ancora oggi – a decenni di distanza – tendiamo ad adottare le categorie interpretative del periodo bipolare. Che erano semplici, nette e anche gratificanti: da una parte noi, i buoni, dall’altra loro, i cattivi. E così si diffonde nelle analisi degli esperti, o dei presunti esperti, il racconto di una nuova ripolarizzazione, di un mondo che si fa nuovamente bipolare, diviso tra democrazie da una parte e autocrazie dall’altra.
Di fronte alla minaccia rappresentata dal blocco autoritario non resta altra scelta che fare fronte comune, accentuando il sostegno militare all’Ucraina, sganciandosi dai legami economici e tecnologici con la Cina e chiamando a raccolta tutti i nostri alleati nel mondo. In realtà, le dinamiche internazionali sono molto più complesse e vengono influenzate da una vasta gamma di fattori, tanto che appare illusorio ridurle a una semplice dicotomia di bipolarismo o multipolarismo. Lo dimostra la resistenza, anzi il rifiuto, dei tanti (presunti) alleati dell’Occidente in Africa, America Latina e in Medio Oriente a farsi arruolare in questa nuova polarizzazione.
Anche Paesi strettamente a noi legati come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti o Egitto non hanno approvato le sanzioni contro la Russia e si rifiutano di ridurre i legami con la Cina. Al contrario, Pechino è sempre più un interlocutore apprezzato in quelle regioni. Se per noi in Europa la guerra in Ucraina è il conflitto che ha cambiato irreversibilmente il sistema internazionale, per tanti altri Paesi questo è solo uno dei tanti conflitti che hanno insanguinato, e insanguinano tuttora, il pianeta.
Anche il contenimento militare della Cina nella regione dell’Asia Pacifico voluto da Washington rimane una dinamica, appunto, regionale. E quindi tanti Stati non sono disposti a farsi ingabbiare nella nostra prospettiva: per essi il mondo è e deve diventare sempre più multipolare, o addirittura a-polare. Ne sta derivando una accelerata perdita di influenza politica dell’Occidente, e della superpotenza statunitense in particolare, in aree considerate strategiche: dall’Africa, al Golfo, a zone dell’America Latina.
Ma questa lettura del mondo che si fa da noi così popolare, contiene un pericolo ancora maggiore, perché più sfuggente. Ci impedisce di vedere i rischi o di sminuire le crisi del nostro modello di democrazia, dalla estremizzazione dello scontro politico negli Stati Uniti o alla deriva delle “democrazie autoritarie” nell’Europa Orientale, un vulnus che r ischia di infettare tutta l’Unione Europea. Tanto più che l’invasione russa in Ucraina sta trasformando i Paesi dell’Europa dell’Est in potenze militari che vogliono non tanto la difesa di uno Stato invaso, ma propugnano – come i polacchi – l’umiliazione totale della Russia o la sua “scomposizione” quale Nazione unitaria. Un obiettivo che porta con sé la trasformazione stessa del nostro intervento in Ucraina: da un aiuto militare per resistere a una invasione, con l’obiettivo di fermare il conflitto, a una sorta di proxy war, una “guerra per procura” della Nato contro la Russia.
La “Fortezza Europa” non è solo quella che, pesantemente armata, fronteggia i barbari che la minacciano da Est. È anche quella che lascia annegare migliaia di migranti nel Mediterraneo, che accoglie i profughi ucraini mentre respinge afghani e siriani, che vede crescere il sostegno popolare verso ideologie radicalmente e apertamente razziste. Che vuole chiudere le frontiere mentre gli imprenditori europei denunciano la mancanza di milioni di lavoratori. E che scopre che milioni di europei, figli o nipoti di migranti, vivono in un limbo pericoloso e alienante di europei di serie B, sperduti in identità sfuggevoli e frustranti. Un mondo diviso fra buoni e cattivi vale per i pessimi film dei super-eroi di Hollywood, non per il sistema internazionale di oggi. Che ha bisogno di meno slogan o frasi ad effetto, e di più impegno per costruire le tante paci che ancora mancano all’appello. E delle società meno squilibrate all’interno anche nella Vecchia Europa.