Opinioni

La ricerca dei Magi, quella di chi vive davvero. Nostalgia, cammino dentro il domani

Marina Corradi sabato 7 gennaio 2017

Ma perché, poi, partirono? Già, nel cielo si era vista una stella particolarmente luminosa, e dei sapienti potevano forse collegarla con la antica profezia di Balaam, nel Libro dei Numeri («una stella spunta da Giacobbe, e uno scettro sorge da Israele»). Nella realtà però quei tre abbandonarono le loro ricche regge per una meta ignota, remota, forse inesistente. Come immaginò il poeta Eliot: «Proprio il tempo peggiore dell’anno / Per un viaggio, per un lungo viaggio come questo / Le vie fangose e la stagione rigida/ Nel cuore dell’inverno.

E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti. (...) Poi i cammellieri che imprecavano e maledivano/ E disertavano, e volevano, donne e liquori,/ E i fuochi notturni s’estinguevano, mancavano ricoveri,/ E le città ostili e i paesi nemici». Quei tre in marcia, ostinati: «Con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo / Che questo era tutta follia»?. E tuttavia andarono. Perché, ha detto ieri il Papa citando San Giovanni Crisostomo, non si misero in cammino perché avevano visto la stella, ma videro la stella perché si erano messi in cammino. Che è un po’ il capovolgimento della lieta tradizione che ci raccontano da bambini. Non fu la stella a mettere in movimento i Magi, ma partirono perché già, lucidamente o oscuramente, cercavano il segno di un nuovo mondo, di una nascente speranza. I Magi, ha detto Francesco, sono figura dell’uomo «che ha nostalgia di Dio; di chi sente la mancanza della propria casa, la patria celeste. Riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore».

Nostalgia, in genere, è un termine che indica una affettività proiettata verso ciò che è passato. È facilmente il ripiego di chi non riesce più a sperare. Ma questa nostalgia dei Magi invece è diversa, ha detto il Papa. Somiglia alla malinconia descritta da Romano Guardini, che la definì «nostalgia dell’infinito». Questa «santa nostalgia»' secondo Francesco «ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare». Quanto facilmente si cade in questi recinti, specialmente con l’età che avanza. Quanto spesso si pensa che il domani sarà solo uguale a oggi, quando non peggio; che si invecchierà, si resterà magari soli, ci si ammalerà – in un mondo, per il resto, sempre dolorosamente uguale.

La nostalgia dei Magi invece li portò fuori da questi orizzonti augusti. Era una nostalgia particolare: era fondata nel passato, ma guardava verso il futuro. Le radici erano nella patria antica, in Dio; ma la tensione di quella percepita assenza era orientata alla vita, e qui e ora. In periferia, in frontiera, ha detto il Papa: e con un atteggiamento da mendicanti. Mendicanti tenaci, vorremmo saper essere. Come, spiega Francesco, il vecchio Simeone, che nel Tempio trovò, bambino, colui che aveva atteso per tutta la vita. Come Maddalena, che piangente e insonne mentre ancora Gerusalemme dormiva corse all’alba Sepolcro, e lo trovò splendidamente vuoto. «Non si misero in cammino perché avevano visto la stella, ma videro la stella perché si erano messi in cammino», dice san Giovanni Crisostomo dal secolo quarto, ma parla anche per noi. Per noi stanchi, distratti o chini sulla fatica e i dispiaceri quotidiani, per noi magari perfino educatamente disperati verso un futuro che ci pare senza luci.

Noi, che vorremmo sapere riconoscere in un segno il nostro desiderio, e partire, come partirono i Magi. Che, come disse Benedetto XVI in una Epifania di alcuni anni fa, «erano persone dal cuore inquieto, che non si accontentavano di ciò che appare ed è consueto. Erano uomini alla ricerca della promessa, alla ricerca di Dio. Ed erano uomini vigilanti, capaci di percepire i segni di Dio, il suo linguaggio sommesso e insistente». E che così sia nelle nostre vite.