Opinioni

Lettere. Le omelie dei funerali, un'occasione per affermare la speranza dei cristiani

Le nostre voci di Marina Corradi giovedì 22 giugno 2017

Caro Avvenire,
le omelie dei funerali sono un’occasione per illuminare i 'lontani', che loro malgrado 'debbono' essere presenti, e dar loro la possibilità di aprire gli occhi sullo scopo dell’esistenza (per conoscere Dio, amarlo e servirlo in questa vita, per poi goderlo nell’altra in Paradiso) che non è quello di far soldi, divertirsi e simili. Quando mai capita poi di incontrare un predicatore così coraggioso da affrontare il tema ugualmente essenziale dei Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso? Grave responsabilità quella dei sacerdoti e dei diaconi che trascurano queste occasioni e ricorrono a tiritere, più o meno eleganti, alla fine delle quali uno si domanda: «Ma che ha detto?».

Adriano M. Bucalo Guillois, diacono Roma

A me a dire il vero non è capitato di ascoltare 'tiritere' ai funerali. A volte magari, entrando per caso in chiesa durante il funerale di uno sconosciuto, di quelli con solo una decina di conoscenti fra i banchi, ho ascoltato omelie con pochi generici riferimenti al defunto. Ma si sa, in parrocchie di migliaia di anime non è possibile conoscere ciascuno di persona. Però il lettore ha ragione: i funerali sono una delle poche occasioni in cui viene in chiesa chi non ci va mai, e quindi potrebbero essere il momento per una riflessione. Non solo per parole blandamente consolatorie, ma per la affermazione di una certezza: non tutto è finito, in questo giorno. La bara al centro della navata è una provocazione potente per tutti i presenti. I soldi, la ricchezza, le divisioni in famiglia, le inimicizie, tutto appare come ridimensionato davanti a una bara, se non addirittura annichilito. Per che cosa veramente si vive, è costretto a chiedersi ciascuno a un funerale. Il lettore invoca i Novissimi. Certamente sono un argomento. Io però, se mi immedesimo con un 'lontano' venuto a un funerale, credo che sarei toccata, più che dal timore del giudizio e dell’inferno, dalla affermazione di una speranza. Di una speranza certa dei cristiani presenti, qualcosa che si tocchi – non un sentimento evanescente. Mentre il mondo attorno a noi guarda alla morte come a un orrido vuoto, noi sappiamo che in realtà torniamo a casa. Nella nostra vera casa, dove attenderemo quelli che abbiamo amato. È forse una differenza da poco? Morire in Cristo significa essere certo che i tuoi figli, che tuo padre e tua madre li rivedrai. Morire senza Cristo è un salto in una vertigine buia e infinita. È tutto un altro sguardo. È la speranza, la sovrana speranza dei cristiani. Quella che fece incidere ai primi credenti su una lapide in una catacomba romana la scritta: 'In vivis tu'. Tu, morto, sei fra i vivi. Ecco, a ogni funerale io vorrei toccare una speranza così.