Opinioni

I migranti e noi: fotografie che parlano e scuotono. Interi mondi in quegli sguardi

Marina Corradi lunedì 8 giugno 2015
Giravano sul web in questi giorni le immagini dello sbarco a Kos, isola greca del Dodecaneso, di alcune barche di profughi che, provenienti dalla Siria, e forse anche da più lontano, hanno traversato il braccio di mare che separa l’isola dalla Turchia. Sbarchi come migliaia di altri, come ne avvengono tutti i giorni sulle coste europee del Mediterraneo, sotto ai nostri occhi ormai abituati. Ma nelle sequenze pubblicate on line, ce ne sono  un paio su cui lo sguardo cade e si ferma. La prima mostra un gruppo di uomini che hanno  appena toccato terra, con gli asciugamani sulle magliette bagnate e i giubbotti salvagente accanto, appena sfilati dalle spalle. I profughi paiono ancora frastornati, e increduli di avercela fatta. In quel momento, passa davanti a loro, correndo, una signora che fa jogging. È abbronzata, la maglietta candida, una fascia a trattenere i capelli, e va, a giudicare dalla tensione delle gambe agili, di gran carriera. Ciò che colpisce è che tutti e tre i profughi bagnati e malconci si girano a seguirla con lo sguardo; e non perché la donna sia particolarmente bella, ma come se avessero visto qualcosa che non comprendono. Paiono chiedersi, gli "stranieri", perché la donna corre; e che motivo ha mai di correre, visto che nessuno la insegue. Paiono dirsi, colti dallo scatto con un’espressione interdetta sulla faccia: noi nei nostri Paesi corriamo per scappare, ma questa donna, in Grecia, in Occidente, perché corre, da che cosa fugge? Già, pensi, nei villaggi remoti da cui uomini e donne e pesino bambini si incamminano verso il Mediterraneo, forse non si usa fare jogging, non si vede nessuno correre con leggerezza per le strade al solo fine di dimagrire. Anche perché non c’è alcun bisogno di dimagrire, visto che, con la guerra e con la fame, di gente in sovrappeso non ce n’è molta. E dunque ai profughi ancora infradiciati dalle onde quella corsa pare illogica, lunare. Un altro scatto invece può destare stupore in noi, occidentali. È quello in cui una manciata di uomini che ha appena messo i piedi a terra si stringe assieme e sorride, nel farsi insieme un selfie con il cellulare. Attorno ci sono le fila di ombrelloni, e ci si può immaginare lo sconcerto dei turisti: questi sono arrivati qui su un guscio di noce, hanno perso casa, lavoro, patria, hanno fame, e bambini da sfamare, e si fanno un selfie, sorridendo davanti all’obiettivo? Ma ciò che noi del Primo mondo fatichiamo a capire è che per quegli uomini, incalzati da guerra e persecuzioni, l’essere sbarcati in Grecia è un sogno: magari avendo rischiato di annegare, cotti dal sole, assetati, senza un soldo, però sono salvi, e in Europa. Dove nessuno bombarderà le case in cui dormono, dove non imperversano miliziani sanguinari, dove si mangia, dove non ti perseguitano per la tua fede, o etnia. E dunque nella foto di Kos quelli che noi siamo abituati a chiamare "disperati" appaiono, per un istante, quasi felici. Più contenti addirittura dei turisti, su quella spiaggia greca, che all’arrivo degli intrusi sembrano ritrarsi, sconcertati. Come se fossero di un’altra razza di uomini, quei là sbrindellati, venuti da lontano. In un’altra foto ancora due maturi "nordici" in calzoncini da un angolo stanno a guardare i nuovi arrivati. Quelli, incuranti, scaricano e strizzano le loro cose fradice. Sì, forse un’altra "razza" di uomini, quei fuggitivi, nel senso che la guerra, la persecuzione, la fame ne ha cambiato totalmente la scala di valori: e sembrano grati al loro Dio semplicemente per il fatto di essere in salvo. Come una radicale rinascita: è stato loro tolto tutto, e ora un pezzo di pane, un vestito asciutto, bastano a rischiararne l’espressione, fino a un sorriso. Ma forse non vediamo quale forza portano in sé queste genti inseguite e perseguitate, e che voglia grande di vivere, e di ricominciare. Si insedieranno nelle periferie delle nostre città, da poveri, ma faranno i figli che noi non vogliamo avere. Nel nostro mondo invecchiato, la spinta di popoli che hanno voglia di continuare. Sorridenti, in uno scatto a Kos che un giorno metteranno in cornice in tinello, semplicemente perché sono sopravvissuti all’ingiustizia e al mare; e quasi increduli di questo nuovo mondo in pace - in cui si corre, senza bisogno di scappare.