Opinioni

C'è da riavvicinare il Paese alla politica. Cattolici al bivio dell’impegno con una gran bisaccia d’idee

Vittorio Possenti venerdì 7 ottobre 2011
Secondo l’Octogesima adveniens è necessario «attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa»: si tratta di una grande prospettiva, nuovamente vicina nella presente fase di concreto interesse per quell’insegnamento. Esso può costituire un tonico eccellente per l’attuale effervescenza di idee e di progetti presenti nell’area cattolica italiana, intenta a riflettere su se stessa e sull’apporto da offrire a una nazione infiacchita che osa meno di un tempo e che ha bisogno di grandi apporti corali.Il Paese ha bisogno di ritornare a svilupparsi, e non solo economicamente, per invertire la tendenza negativa. Quanto ci si attende dal cattolicesimo italiano è di offrire proposte per uscire dalla crisi del Paese e di raggiungere una presenza in grado di incidere più di quanto sia accaduto nell’ultimo ventennio. Molti avvertono la discrasia tra la vivacità e l’ampiezza della rete sociale del cattolicesimo italiano e la sua insufficiente espressione politica. Ciò può dipendere da uno stile di associazionismo silenzioso, poco propenso all’esposizione mediatica e nutrito dal basso. Un associazionismo che, mantenendo uno stretto legame col territorio e la gente, possiede una capacità di ascolto che le attuali forze politiche hanno largamente perduto o forse mai veramente avuto. Intanto, aumenta il numero di coloro che riconoscono i meriti storici del nostro cattolicesimo politico, e che non paventano che i cattolici operanti in campo culturale e sociale tornino con sapienza e concordia a interagire a tutti i livelli con la politica, anche con azioni coordinate e ad ampio raggio. In merito, si pone la sempre risorgente questione dei modi più efficaci di attuare tale presenza, con la connessa ipotesi, da valutare senza idiosincrasie e senza nostalgie, di un raggruppamento politico laico, aconfessionale, cristianamente ispirato ma aperto ad apporti multipli. Sarebbe, infatti, singolare la posizione del cristiano il quale fosse o si ritenesse abilitato soltanto a fare da comprimario in partiti altrui, che in genere non risultano propensi ad aprire sufficientemente le porte al loro contributo. Inoltre è ormai largamente dietro le spalle quella "cultura della diaspora" che a lungo aveva coltivato l’idea che l’unità fosse un disvalore o un’anomalia da superare. La mente e la penna di tanti corre, perciò, alla Dc, ma – anche a mio avviso – è bene sgomberare il terreno da fantasie irrealistiche.La possibilità di una "seconda Dc" è scomparsa dalla storia, poiché sono scomparse le condizioni che presiedettero alla sua nascita e al suo successo. Non è invece venuta meno la cogente responsabilità dei cattolici verso la società e la politica italiana, ed essa potrebbe essere adempiuta con nuove forme di interlocuzione forte con la politica e di presenza politica diretta. D’altronde i meriti del passato sono un blasone, non una garanzia per il futuro. E per mettere in campo una soggettività nuova e coerente occorrono una visione complessiva del Paese (enormemente diverso da quello del 1948) e un’idea dei mutamenti intervenuti e di dove occorre andare: dunque, una strategia lungimirante capace di declinarsi in una sorta di programma politico di medio-lungo periodo. Tutto ciò manca o è appena baluginante. Senza contare il peso che avrà l’esistenza o meno di una nuova legge elettorale al posto dell’attuale, che opera una riproduzione oligarchica della classe politica in mano a pochissime persone.Oggi, dunque, siamo a un bivio potenziale. Per una via, i cattolici presenti nei vari schieramenti sarebbero chiamati a elaborare in modo efficace una visione complessiva del Paese nel contesto europeo e mondiale, e a condividere un programma fondamentale su welfare, lavoro, educazione, impresa, politica europea e internazionale, giustizia. Per l’altra via, con l’eventuale nascita di una formazione laica di ispirazione cristiana, che non potrebbe che essere un partito di valori e di programma, si dovrebbe - a mio avviso - perseguire come obiettivo generale quello di attuare un rinnovamento morale, civile e politico della società italiana, mettendo in circolo le energie positive del Paese. Nell’un caso come nell’altro, non basterebbe l’indignazione e, ancor meno, l’indifferenza e la rassegnazione. E in ogni caso occorrerà che l’interlocuzione positivamente in atto tra le espressioni 'sociali' e 'culturali' dell’area cattolica si concretizzi in una sorta di diagnosi comune e in alcune prospettive-guida.