Opinioni

L'orrore della guerra e i piccoli. Bimbi vittime, madri impotenti

Marina Corradi lunedì 20 novembre 2023

All’alba del 15 novembre, mentre i carri armati israeliani circondavano l’ospedale Al-Shifa a Gaza, girava sul web un video girato all’interno di un reparto. Degli infermieri si affannavano a spostare dalle stanze invase dal fumo i feriti sulle barelle. Ma nel caos si intravedeva un bambino sui tre anni, solo, stupefatto, in mezzo a un corridoio. Smarrito forse, o senza più nessuno che gli badasse. Nella sua faccia levata verso l’alto, come a cercare qualcuno, si leggeva chiara una domanda: dov’è la mamma, perché non arriva? La sola domanda che può fare un bambino, mentre attorno si spara.

Il 20 novembre è la Giornata per i diritti dell’Infanzia. Personalmente ho il dubbio che ci siano troppe Giornate. Per i diritti dell’Uomo, delle donne, dei gay, dei migranti, e tante altre. Cento giornate per affermare autorevolmente, in prestigiose assemblee, dall’Onu a Strasburgo a Bruxelles, che intoccabili sono i diritti di ciascuno. Dell’infanzia, naturalmente, prima di tutto: scritti chiari in poderose convenzioni, da ogni Stato civile sottoscritte. Parole nobili, giuste, in cui pure si è creduto - ma, spesso, è solo carta. Poi c’è la realtà: forse mai, da decenni, drammatica come in questi ultimi mesi. Che quattro milioni di bambini in Sudan rischino la morte per fame non fa eccessivamente notizia, perché il Sudan è lontano. Che muoiano invece, entro i confini dell’Europa, i figli degli ucraini, che siano deportati in Russia e rieducati a dimenticare la loro origine, ci ha atterrito. Ma è accaduto poco più di un mese fa ancora di peggio, l’inimmaginabile: il massacro dei bambini nei kibbutz israeliani, non un “danno collaterale” di bombardamenti ma un voluto, pianificato eccidio per annunciare l’annientamento di Israele. Come un pogrom, nell’anno 2023. Sono mai stati così sbaragliati i diritti dell’infanzia nel “nostro” mondo, dal 1945 ad oggi? Poi, la vendetta: quelle decine di migliaia di bambini fra le macerie di Gaza, orfani, in marcia nella polvere, senza tetto né acqua. E i prematuri nelle incubatrici dell’ospedale di Al-Shifa, morti per mancanza di carburante nei generatori? Verrebbe, quest’anno, della Giornata dei diritti dell’Infanzia, da non parlare, per un senso di pudore.

Dell’assedio di Al-Shifa mi è rimasta negli occhi un’altra faccia, quella di una donna. Una palestinese con un ragazzino fra le braccia, per terra, in un cortile devastato. Porta un velo sul capo, come le donne del suo popolo. Il viso pallido, gli occhi socchiusi, potrebbe essere ferita, o semplicemente sfinita. Un altro bambino le appoggia le mani su una spalla, come a proteggerla. Il viso della madre con il figlio fra le braccia è, pure nel dolore, bello. E sotto a quel velo l’accostamento istintivo è inevitabile: sembra una Madonna. Le mani smagrite custodiscono come possono il capo del ragazzo, che non ha più la forza di proteggere. Come una Madonna ai piedi della Croce, altrettanto inerme. Secoli di iconografia cristiana, di volti mariani nei capolavori nelle chiese d’Occidente, affiorano alla memoria davanti a quell’immagine dall’ultimo assedio di Gaza. Laggiù, in quella stessa terra, ancora. La donna della foto è palestinese. Ma sono certa che la stessa espressione avevano le madri ebree asserragliate nei nascondigli dei kibbutz, terrorizzate, il 7 ottobre, mentre fuori scoppiava l’inferno. E parevano madonne, credo, anche le deportate sui treni piombati, che stringevano a sé i bambini nel lento, cupo sferragliare dei convogli in viaggio verso l’annientamento.

Per ogni soldato che imbraccia il mitra, per ogni colpo di cannone, mille donne abbracciano i loro figli. A Hiroshima, a Nagasaki, a Dresda, dove le città e gli uomini sono diventati cenere, nell’ultimo istante mille madonne stringevano fra le braccia un bambino. Il gran parlare sui diritti dell’infanzia è vano, se le madri sudanesi, yemenite, siriane, ucraine, israeliane, palestinesi, finiscono nel tritacarne di guerre che non distinguono e non rispettano i civili. Perché le prime garanti dei bambini sono le loro madri, che in ogni teatro di sangue se li tengono avvinti, come ciò che si ha di più caro. E in quell’abbraccio ostinato, sperando contro ogni speranza, paiono madonne davvero – nello stesso gesto della Pietà michelangiolesca.

Milioni di donne anche stanotte veglieranno, dall’Ucraina al Sudan, alle prigioni per migranti in Libia, e nei barconi alla ventura sul Mediterraneo agitato, i loro figli, per cui domandano vita. (E forse è per queste schiere di sconosciute madonne, per le loro preghiere, che ancora Dio ha pietà, e di tanto male ancora ci perdona).