Opinioni

Le famiglie, la coscienza, la Chiesa. Abbraccio consapevole

Luciano Moia martedì 27 ottobre 2015
La pretesa di sintetizzare in poche parole la montagna di riflessioni in chiave familiare innalzata da tre settimane di Sinodo potrebbe sembrare un atto di superbia, addirittura un peccato. Ma, in attesa che il Papa si pronunci, con le modalità e i tempi che riterrà più opportuni, ci sono alcune piste di riflessione che emergono con chiarezza dal documento finale. Un testo che si propone di volare su tutto l’universo della realtà del matrimonio e della famiglia, con affondi nella teologia, nella pastorale, nella pedagogia, nell’ambito sociale ed economico. Inevitabile che l’obiettivo di non trascurare nulla di ciò che è essenziale per far comprendere la rinnovata attenzione della Chiesa verso tutto ciò che "fa famiglia" – frutto di un percorso biennale, di due Sinodi e di due consultazioni mondiali – abbia finito per sacrificare tanti dettagli importanti e, soprattutto, per ridurre a brevi accenni tutto il pregresso, che è davvero sterminato. Ma la relazione finale del Sinodo 2015, pur facendo tesoro di tutto quanto pensato, scritto, realizzato sulla famiglia nell’ultimo mezzo secolo, dal Vaticano II a oggi, si propone di guardare avanti e di proporre parole nuove – con un linguaggio più fresco e immediato – a proposito delle attese e delle fatiche di tante coppie che devono ritrovare il senso del loro stare insieme, con una fecondità di ampio respiro capace di arricchire la vita dentro e fuori casa.Dal punto di vista pastorale – perché pastorale era il primo obiettivo del Sinodo – la relazione finale riassegna alla famiglia una centralità che non può più essere data per scontata. In altri termini, se in un Sinodo sulla famiglia la Chiesa universale affronta tanti temi – vita, giovani, anziani, scuola, bioetica, lavoro, catechesi, immigrazioni, povertà, ecologia, adozione-affido, valorizzazione della donna e altro ancora – riconducendo tutto allo sguardo familiare, vuol dire che occorre davvero ripensare tutto l’impegno di evangelizzazione non più in termini settoriali – come fatto finora – ma con un’articolazione originale che abbia sempre però come discriminante l’ottica della famiglia. Perché la famiglia tutto intercetta e in tutto finisce per essere in qualche modo coinvolta. E questo non può più essere trascurato.Se è vero che – come ribadito da vari padri sinodali – che pastorale e teologia sono strettamente intrecciate, non si può inoltre che mettere in luce i tanti riferimenti al primato della coscienza "rettamente formata" che si incontrano nel testo. Primato mai messo in discussione, ma spesso dimenticato, che significa innanzi tutto investimento più coraggioso nella dignità umana ed ecclesiale delle persone e delle coppie. L’appello al primato della coscienza viene ricordato, tra l’altro, a proposito della genitorialità responsabile, ma anche nei percorsi di discernimento per divorziati e risposati.  Si tratta un "credito di maturità" che ora va alimentato con progetti formativi permanenti, in grado di accompagnare le persone nelle varie età della vita, perché nessuno può affermare di aver educato la propria coscienza una volta per tutte. Ma anche perché il fluttuare della vita familiare, con i suoi squarci di serenità, ma anche con i suoi percorsi contraddittori, obbliga mariti e mogli a rivedere quasi giorno dopo giorno l’equilibrio tra soggettivismo personale e oggettività della norma, cioè tra convinzioni personali e verità che superano, ma non possono né contraddire né ignorare, la realtà personale. Educare – o rieducare – all’esercizio critico di una rinnovata coscienza di coppia, può risultare anche un antidoto prezioso per sfuggire al tentativo di anestetizzazione nascosto nei tanti luoghi comuni, nelle falsità ammantate di progressismo culturale che veicolano però messaggi umanamente destabilizzanti. Le cosiddette "teorie del gender" – confutate in modo esplicito nella relazione sinodale – ne sono forse l’esempio più immediato.Infine non si può ignorare il dato ecclesiologico. Dopo il Motu proprio con cui il Papa ha dato ai vescovi la possibilità di decidere come avviare e risolvere - nei casi palesi - la verifica della nullità matrimoniale, dalla Relatio arriva tra l’altro la responsabilità di verificare il cammino di discernimento per i divorziati risposati. Si tratta di funzioni importanti che contribuiscono a ricondurre la figura del vescovo a quella pastoralità concreta, a quel tratto di vicinanza con i problemi reali della gente, che possono servire a riassegnare al vescovo la piena disponibilità del suo ministero anche per quanto riguarda il pianeta complesso del matrimonio e della famiglia. Scelte che, se ci si pensa bene, vanno tutte nella stessa direzione, nella stessa logica rinnovata con cui la Chiesa intende, proprio sulla scorta di quanto emerso nel Sinodo, inaugurare un  migliore rapporto di reciproca fiducia con le famiglie, con tutte le famiglie, quelle che "tengono il passo" e quelle che sono ai margini (e oltre) della strada. E quindi: camminare insieme, integrare, discernere, ascoltare. Con quelle parole e quei gesti di accompagnamento, di misericordia e di tenerezza che devono diventare la prassi ordinaria per accogliere tutte le coppie, genitori e figli, nella luce del Vangelo e nel rispetto dei tempi e delle condizioni di vita di ciascuno.