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Covid. Il grido di aiuto dei virologi africani: «Non dovete lasciarci senza vaccini»

Matteo Fraschini Koffi mercoledì 6 gennaio 2021

Il «cimitero del Covid» a Johannesburg

Dakar «Il mondo rischia una catastrofe morale ». In questi termini si è espresso il veterano virologo camerunese John Nkengasong, a capo del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie africano (Cdc-Africa), preoccupato per un possibile arrivo tardivo sul Continente dei vaccini contro il coronavirus. E non è il solo in tale stato d’animo.

«Spero che le campagne di vaccinazione inizino entro aprile», ha spiegato Nkengasong. «Si tratta di un lungo periodo di tempo per un virus in grado di trasmettersi molto velocemente. Infatti – ha concluso il direttore del Cdc africano –, la seconda ondata è già qui tra noi». La lotta contro il tempo continua. Sebbene l’Africa sia il Continente con uno dei più bassi livelli di contagi al mondo, le autorità locali preferiscono rimanere vigili. Recentemente sono infatti state imposte restrizioni in vari Stati a causa di questa nuova impennata della pandemia. «Nell’ultima settimana i contagi di Covid-19 sono aumentati del 19 per cento e i decessi del 26 – sottolineano le stime del Cdc-Africa –. Dall’inizio della pandemia l’Africa ha registrato 2,7 milioni di casi e 64mila morti».

Dei 54 Stati africani, il Sudafrica è quello con la situazione più grave con poco più di un milione di contagi e oltre 30mila decessi. È proprio nella cosiddetta «Nazione arcobaleno» che le autorità hanno cominciato a gestire la nuova variante inglese del coronavirus: apparentemente più letale e maggiormente rapida nel propagarsi. «Raduni interni ed esterni sono proibiti, coprifuoco tra le nove di sera e le sei di mattina e divieto della vendita di alcol – ha dichiarato con amarezza settimana scorsa il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa –. Il nostro Paese si trova in un punto estremamente pericoloso e dobbiamo agire».

Lo Zimbabwe ha annunciato restrizioni simili. In Ciad, dove il virus ha avuto uno degli impatti più leggeri rispetto al resto del Continente (solo 2mila contagi da marzo), il recente aumento di casi ha costretto il presidente, Idriss Deby, a imporre un coprifuoco notturno e l’obbligo della mascherina. Rimane però assai complicato accordarsi a livello africano e internazionale sul modo in cui reagire. Ora che le campagne di vaccinazione sono state lanciate nei Paesi occidentali, l’Africa attende con impazienza che gli esperti prendano una decisione comune e determinata. «Crediamo che il vaccino non debba essere imposto in maniera massiva alle popolazioni – recitava un comunicato di dicembre dell’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) –. Mancano ancora informazioni sugli effetti collaterali per le persone più fragili e il Covid-19 non è una causa maggiore di mortalità sul continente africano».

All’interno della stessa organizzazione c’è invece chi crede che il vaccino debba essere obbligatorio per tutti gli africani al più presto. «Abbiamo bisogno di tornare il prima possibile alla normalità – afferma un esperto europeo di base in Africa –. I servizi sanitari locali sono stati completamente stravolti da questa emergenza». Una cosa è invece certa: le informazioni sul vaccino devono essere condivise. Gran parte delle autorità e delle agenzie umanitarie sul Continente nero stanno spingendo affinché i laboratori africani, come quelli in Senegal e Sudafrica, possano produrre da soli i vaccini, facilitandone la distribuzione e abbassando i costi. Una politica sanitaria che però contrasta con le intenzioni di alcune case farmaceutiche occidentali che preferiscono mantenere riservate certe nozioni sul vaccino.

«Rischiamo che altre potenze straniere come Russia e Cina subentrino con i loro vaccini di dubbia qualità – ammettono alcuni operatori sanitari africani –. Questa pandemia sta assumendo una dimensione sempre più geopolitica rispetto al nostro Continente». Il presidente cinese, Xi Jinping, aveva già dichiarato a settembre che «i Paesi in via di sviluppo, soprattutto l’Africa, avranno la priorità quando i vaccini cinesi inizieranno a essere distribuiti».

Meno di un mese fa, il presidente keniano, Uhuru Kenyatta, aveva infatti ordinato al suo ministro della Salute di «guardare verso la Cina per le campagne di vaccinazioni contro il coronavirus». Di fatto però campagne vaccinali non sono ancora in corso né programmate in oltre cinquanta Paesi africani. Soltanto a Conakry, capitale della Guinea, è iniziato giovedì il processo di immunizzazione con il vaccino russo Sputnik V: da Mosca sono già arrivate due milioni di dosi del siero. Un’azione giudicata da molti, come le offerte cinesi, al pari di una «colonizzazione sanitaria».

Un processo, quello dell’assenza di una strategia non certo continentale ma quantomeno statale, che sta preoccupando diversi scienziati della comunità internazionale. Anche perché appare sempre più chiaro che il programma Covax a cui aderiscono l’Alleanza Gavi della Gates foundation e l’Organizzazione mondiale della Sanità con l’obiettivo di far arrivare i vaccini ai Paesi più poveri, non sarà certo in grado di soddisfare tutte le richieste. Soprattutto a breve termine.