Economia

Crisi e futuro. Le asimmetrie pericolose

Marco Girardo giovedì 27 agosto 2020

Delle tante disuguaglianze – di reddito, patrimonio, genere o accesso all’istruzione – che la pandemia rischia di esasperare, quella generazionale è forse la più perniciosa. Perché non se ne avvertono i morsi nel breve, visto che si sfogherà solo fra qualche tempo con chi oggi è ancora un bambino. È la disuguaglianza alimentata dai debiti pubblici fuori controllo, i cui costi vengono caricati sulle spalle dei giovani. Ed è frutto di una duplice asimmetria. La prima, quella tra i diversi Paesi, l’ha stigmatizzata ieri Francesco: «Alcune Nazioni potenti – ha detto il Papa nell’udienza generale – possono emettere moneta per affrontare l’emergenza, mentre per altre questo significherebbe ipotecare il futuro».

L’Italia è purtroppo tra gli Stati 'deboli' finanziariamente. Non abbiamo cioè margini di bilancio che ci consentano di indebitarci con tranquillità per affrontare l’enorme recessione in corso. Dobbiamo aumentare il sostegno pubblico, certo, e lo stiamo facendo. Potremo anche accedere ai prestiti comunitari, un aiuto considerevole, e lo faremo. Ma dovremmo al contempo già da ora immaginare una strategia d’uscita. Per riequilibrare i conti, se non vogliamo appunto scaraventare l’intero fardello sugli adulti di domani. A parole, nel merito, concordano tutti.

Alla prova dei fatti, invece, nessun governo ha il coraggio di aggredire lo stock del debito o migliorare la qualità della spesa pubblica attraverso una seria revisione delle agevolazioni fiscali. Perché entra in gioco una seconda asimmetria, ben nota ai modelli di economia politica: quella tra distribuzione anche temporale di costi e benefici delle riforme. Risanare in nostro debito avrebbe un beneficio enorme per i bambini. Che però non votano (i giovani votano poco).

E i politici sanno che gli elettori tendono a premiare un governo quando questo assicura loro dei risultati immediati, senza considerare i costi associati all’espansione del bilancio pubblico. A meno che – ed è già capitato, troppo spesso altrove, in diverse occasioni – una classe dirigente non abbia la forza politica di portare alle urne i cittadini parlando di come sogna il Paese, in sua assenza, tra vent’anni.