Chiesa

Testimoni. Da Teresina a "Tu scendi dalle stelle" i santi che hanno "vissuto" il Natale

Riccardo Maccioni venerdì 23 dicembre 2022

Un'opera creata dallo street artist Harry Greb è visibile accanto alla Basilica di San Pietro. L'installazione denominata "Notte Santa" (Benvenuti in Europa) mostra le statuine del presepe con i salvagenti e vuole rappresentare attraverso il simbolismo della Natività, le difficoltà e la drammatica realtà di migranti, rifugiati, richiedenti asilo e tutti quegli esseri umani che fuggono da situazioni di pericolo di vita in cerca di diritti, speranza e solidarietà

Se ci domandassero quali santi hanno testimoniato con la loro vita lo spirito del Natale probabilmente risponderemmo ”tutti”. E non sbaglieremmo. Lo stesso vale per la devozione a Maria e il senso di umiltà e gratitudine di fronte alla Passione di Cristo. Tuttavia c’è chi proprio sulla nascita del Dio che si fa uomo, ha modellato il senso stesso del proprio esistere nella fede. A cominciare dal nome. La Congregazione delle Suore del Santissimo Natale si chiama così perché «vuole rendere continuamente attuale l’oggi di Betlemme, cioè l’incarnazione di Cristo, mistero di salvezza e liberazione per tutti gli uomini».

Nato nel 1890 dall’impegno del canonico Francesco Bono, parroco della periferia povera di Torino, l’Istituto ha avuto come prima superiora Giuseppina Cavagnero (1858-1951) nota anche come madre Natalina, che ne divenne cofondatrice. Al centro del carisma la vicinanza e la condivisione con i poveri, a cominciare dalle fanciulle e dai malati che assistevano gratuitamente. Un campo di azione che poi si è allargato così come la loro presenza, oggi realtà non solo in Italia ma anche in Africa e India. Sempre però con lo sguardo al mistero della nascita del Figlio di Dio a Betlemme. «Con l’adorazione del Bambino – sottolineano le suore del Santissimo Natale – le nostre incoerenze si stemperano in lacrime, in desideri di pace, di quella pace che il Figlio di Dio è venuto a portare a tutti gli uomini che egli ama (Lc 2, 14). Per questo nel presepe c’è posto per tutti, a partire dai più poveri, dagli sfortunati, dai malati, dai senzatetto, dai profughi, dalla gente invischiata nel male, ecc».

Natale dunque come poesia dell’accoglienza, come casa degli ultimi, come modello di una santità che si costruisce giorno dopo giorno, anche con atti in apparenza insignificanti. È la radice di quella teologia della “piccola via” che ha reso immortale la biografia di Teresa di Lisieux, o meglio di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, che proprio della consapevolezza della piccolezza umana, della necessità di svuotarsi di se stessa per riempirsi di Dio, ha fatto il segno della propria vita. «Come il sole illumina nello stesso tempo i cedri e ogni fiorellino come se esso fosse solo sulla terra – scriveva in una delle sue tante pagine memorabili –, così Nostro Signore si occupa in modo particolare di ogni anima come se essa fosse unica; e come nella natura tutte le stagioni sono regolate in modo da far sbocciare nel giorno stabilito la pratolina più umile, così tutto corrisponde al bene di ogni anima. E ancora: «Io morrò presto. Non ho offerto al buon Dio che l’amore, ed Egli mi restituirà l’amore. Dopo la mia morte farò cadere sul mondo una pioggia di rose. Voglio insegnare la mia piccola via agli uomini, voglio dir loro che vi è una piccola ma una gran cosa da fare quaggiù: gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici».

E del resto il Natale stesso nella letteratura cristiana fonde insieme il gusto lieve della festa con l’amaro della solitudine e della tristezza contemplata nel povero e di cui Gesù Bambino diventa immagine oltreché, naturalmente, riscatto. Quel mix di fragilità e grandezza, nella dolcezza della melodia, che ha reso immortale “Tu scendi dalle stelle” di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Forse di più natalizio c’è solo il presepe di Greccio, e la storia di san Nicola, la cui vicenda avrebbe ispirato la figura stessa di Babbo Natale ovvero il santa Claus dei Paesi anglosassoni, il Nikolaus porta doni in Germania. Alla base di questo collegamento forse un episodio della vita del santo vescovo di Myra, il cosiddetto “miracolo delle tre fanciulle”. Venuto a conoscenza di un nobile decaduto che per contrastare la miseria aveva deciso di avviare le tre figlie alla prostituzione, il santo avrebbe infatti assicurato alla famiglia il denaro necessario a evitarlo. E ci riuscì, secondo la tradizione, facendo scivolare dalla finestra della casa del genitore tre palle d’oro che garantirono all’uomo il denaro necessario per il matrimonio delle ragazze. Naturalmente la vita di san Nicola è ricca anche di molti altri richiami, come ha testimoniato la preghiera per la pace in Ucraina di mercoledì scorso a Bari ma la leggerezza, la poesia, almeno in questi giorni prevale.

Dall’altra parte, perché non si spenga il lume sulla durezza della realtà vissuta dagli ultimi, basta scorrere le pagine di tanti testimoni della fede. Come “gli auguri scomodi” di don Tonino Bello che a proposito del Natale, scriveva: “Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio”. Immagini pesanti, parole forti, da accompagnare però con la dolcezza di un’altra preghiera dello stesso vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, neo venerabile: “Il Natale ti porta un lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi. Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino, dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te”. Perché in fondo è questo a rendere unico il Natale: l’unire insieme il dono più grande e la più enorme solitudine la gioie e le lacrime, ingredienti di una ricetta, la vita, che sfama davvero solo se diventa interamente dono.