Attualità

A LEZIONE DI MESTIERI. Scuole professionali, in 6 mesi si trova lavoro

Paolo Ferrario martedì 12 aprile 2011
L’allarme lo aveva lanciato don Bosco un secolo e mezzo fa, quando per primo si fece carico dei ragazzi esclusi dalla scuola. Anche oggi i dati sulla dispersione scolastica confermano la gravità della situazione e la sussistenza di una vera e propria emergenza educativa: il 30% degli iscritti alla prima superiore non arriva al diploma e più di 117mila giovani tra i 14 e i 17 anni sono fuori da qualsiasi percorso formativo. Il difficile lavoro di recupero (umano, sociale e lavorativo) di queste persone ricade in molti casi sull’istruzione professionale, che intercetta il 20% circa degli studenti italiani. A questo variegato sistema di istruzione, composto dagli Istituti professionali di Stato (che “pesano” per circa il 16% dell’intero sistema scolastico, con poco più di 382mila iscritti) e dai Centri di formazione professionale (che si attestano intorno al 5% del totale, con circa 100mila studenti), è dedicato il Rapporto sulla sussidiarietà 2010, che sarà presentato oggi al Senato. Transizione scuola-lavoro. Realizzato attraverso interviste a un campione di 400 studenti “diplomati” nel 2008 negli Istituti professionali di Stato e di altrettanti ragazzi “qualificati”, lo stesso anno, nei Centri di formazione professionale di quattro regioni (Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia), il Rapporto 2010 si sofferma, tra l’altro, sulla capacità di questi sistemi formativi di favorire la transizione al lavoro. Ottimi i risultati: mediamente quasi sette ragazzi su dieci trovano un’occupazione entro sei mesi dal diploma. In particolare, per i qualificati nei Cfp, il 51% ha trovato lavoro entro un semestre, con picchi del 60,2% in Lombardia. Per i diplomati agli Ips, il 62% ha trovato un posto in sei mesi, con il Piemonte al 70,3%.La ricerca si sofferma pure sulla tipologia del contratto. Mentre il 17% dei qualificati ai Cfp ha avuto un contratto a tempo indeterminato e il 19% a tempo determinato, il 25% ha lavorato sulla base di un accordo informale senza contributi; una tipologia che assomiglia molto al cosiddetto “lavoro nero”. Situazione simile per i diplomati agli Ips: il 20% ha avuto un contratto a tempo indeterminato, il 24% a tempo determinato e il 17,2% un accordo informale senza contributi.Studenti soddisfatti. Pur con alcune differenze, sia nei Cfp che negli Ips è molto alta la soddisfazione degli studenti circa l’aiuto ricevuto dai docenti su problemi di studio e apprendimento e problemi individuali: l’88% si dichiara “abbastanza” o “molto” soddisfatto. Buono anche il giudizio complessivo sull’insegnamento ricevuto, con appena l’8% dei diplomati e il 4,5% dei qualificati che si dichiarano “insoddisfatti” del percorso scolastico seguito.Eccellenze del sistema. Proprio per recuperare anche gli insoddisfatti, il Rapporto analizza quattordici soggetti erogatori di formazione professionale, presentati come “buone prassi”, eccellenze del sistema a cui guardare.Come è sottolineato nelle conclusioni, «il primo e più importante aspetto generativo di queste eccellenze sta nell’importanza data a un’educazione intesa in modo non ridotto, che considera la personalità del ragazzo in tutti i suoi fattori, rispetto a impostazioni che riducono l’educazione all’apprendimento o peggio all’addestramento».Un altro particolare evidenziato nelle realtà analizzate è il «passaggio dal concetto di successo scolastico a quello di successo formativo: l’obiettivo è stimolare in ogni allievo l’espressione delle proprie potenzialità, realizzando una “pedagogia del successo”, che non porta alla selezione dei migliori, ma al raggiungimento degli obiettivi prefissati da parte del maggior numero di allievi».Lavorare in rete. Infine, tra le caratteristiche delle eccellenze analizzate, c’è la «capacità di lavorare in rete, con una reale apertura al mondo, inteso sia come contesto territoriale, sia come concezione generale». Il che significa anche intessere una serie di rapporti, “fare con” per il bene comune. «Il farsi compagno di un pezzo di strada – si legge nelle conclusioni – è il metodo che connota le relazioni di questi soggetti, da quelle del tutor con il ragazzo, a quelle dell’artigiano che si rende disponibile a insegnare un mestiere, fino al rapporto con l’autorità locale, che ha la responsabilità di favorire un reale processo di sussidiarietà, sorreggendo iniziative in grado di fornire risposte concrete e nuove a bisogni emergenti».