Attualità

Mafia stragista. Le bombe di 25 anni fa dirette contro la Chiesa

Antonio Maria Mira venerdì 27 luglio 2018

Venticinque anni fa l’attacco della mafia alla Chiesa. Poco dopo la mezzanotte del 27 luglio 1993, un’autobomba esplose davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano, danneggiando gravemente la facciata e l’adiacente Palazzo dei Laterani. Contemporaneamente un’altra auto imbottita di tritolo venne fatta esplodere davanti alla chiesa romana di San Giorgio al Velabro, provocando anche qui danni gravissimi. In tutto ci furono 22 feriti.

Molto peggio era andato mezz’ora prima con l’esplosione di un’altra autobomba a via Palestro a Milano. Morirono il vigile urbano Alessandro Ferrari, i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno e l’immigrato marocchino Moussafir Driss che dormiva su una panchina. Ferite dodici persone, oltre a gravi danni al Padiglione di arte contemporanea e alla Galleria d’arte moderna. Erano le bombe della strategia stragista di 'Cosa nostra', decisa dalla 'commissione provinciale' guidata da Totò Riina. Dopo gli attentati di Capaci e via D’Amelio, nel 1993 le bombe sbarcarono sul 'Continente'. Il 14 maggio, a Roma in via Fauro, il fallito attentato a Maurizio Costanzo.

Il 27 maggio l’autobomba in via dei Georgofili, nei pressi della Galleria degli Uffizi, provocò il crollo dell’adiacente Torre dei Pulci e l’uccisione dei coniugi Fabrizio Nencioni e Angela Fiume con le loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (50 giorni) e lo studente universitario Dario Capolicchio (22 anni), nonché il ferimento di una quarantina di persone. E dopo le bombe alle chiese, il 31 ottobre il fallito attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico di Roma. Una strategia che si incrocia con la vicenda della cosiddetta 'trattativa Stato-mafia'. Individuati e condannati mandanti, tutti i vertici di 'cosa nostra', ed esecutori. Meno l’ultimo latitante, quel Matteo Messina Denaro che ebbe proprio il ruolo di organizzatore delle bombe a Roma.

Ma perché anche la Chiesa era finita nel mirino? Tutto parte dalla famosa invettiva di Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993 ad Agrigento, quel «Convertitevi!Verrà il giudizio di Dio!». 'Cosa nostra' risponde con le bombe alle chiese di Roma il 28 luglio, e più tardi uccidendo don Pino Puglisi il 15 settembre. La motivazione arriva il 19 agosto quando Marino Mannoia, protetto dall’Fbi in Usa, dice: «Nel passato la Chiesa era considerata sacra e intoccabile. Ora invece 'cosa nostra' sta attaccando anche la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia. Gli uomini d’onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: 'Non interferite'». Un altro mafioso, Leonardo Messina, spiegò: «La Chiesa ha capito prima dello Stato che doveva prendere le distanze da 'cosa nostra' ». Non solo in Sicilia. Così il 19 marzo 1994 la camorra uccise don Peppe Diana.

Ma i mafiosi soprattutto non perdonavano Giovanni Paolo II. Come ci raccontò il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, in quegli anni alla Procura di Palermo, il boss Antonino Cinà, due giorni dopo la morte del Papa così diceva, intercettato, a un altro importante mafioso: «Poverino che era. A parte quella 'sbrasata' che ha fatto quando è venuto qua, un pochettino pesante per i siciliani in generale». E Pignatone ci aveva spiegato che 'sbrasata' «è un termine dialettale siciliano che si potrebbe tradurre come sparata». Lo stesso Riina, intercettato in carcere nel settembre 2013, conferma questo clima di ira che prese i mafiosi dopo l’intervento di Wojtyla: «Quel Papa polacco era cattivo... proprio... Era un carabiniere... Ha esortato a pentirsi...Ma noi siamo tutta gente educata...».