Attualità

I doveri della politica e il dramma di chi non ha posto nel mondo. Il popolo dei senza nome chiama un sussulto di umanità

Marco Impagliazzo venerdì 17 dicembre 2010
Non diminuisce la preoccupa-zione per il destino dei profughi eritrei ostaggio delle bande di predoni nel deserto del Sinai. È da tempo che Avvenire segnala questa tragica situazione. Si tratta di famiglie inermi, vittime del traffico di esseri umani divenuto una vera emergenza internazionale. Il Parlamento europeo proprio ieri ha approvato una risoluzione in cui si sollecita, seppur timidamente, un intervento a favore degli ostaggi e la fine del dramma che continua a consumarsi di fronte all’indifferenza degli Stati. Anche la Commissione Europea si è espressa. Ma serve ancora di più. Ci chiediamo: è possibile che con tutta la forza della relazione che il nostro Paese ha con l’Egitto (ricordiamolo: invito al G8, scambi continui, visite, accordi commerciali) non si riesca a ottenere un intervento umanitario per liberare gli eritrei intrappolati nel deserto? Vi sono zone grigie nel mondo, come il Sinai, dove un conflitto irrisolto o un interesse strategico, ha lasciato spazi vuoti, dove non si applica alcuna legge, e nei quali persone in trappola vengono dimenticate. Esistono in diversi continenti, anche nelle nostre città: un universo parallelo in cui si perdono o sopravvivono gli "invisibili", profughi senza diritti, emigrati, gente che fugge.Ci sono pieghe e angoli bui in cui sopravvive un popolo di poveri, abbandonati, persone in fuga, senza contatti esterni. Sono i barboni che ogni tanto incontriamo lungo le nostre strade, nel freddo intenso di questi giorni, come Saidou Gadiaga, il senegalese di 36 anni morto di asma domenica mattina nella cella di una caserma a Brescia.Il messaggio del Natale, "non c’era posto per loro", sembra la cifra del nostro tempo, distratto e incattivito. La regola sembra una sola: "vivere per se stessi". I profughi raccolti senza vita sulle spiagge australiane dimostrano che in tante parti del mondo c’è un popolo in fuga di senza nome, senza padrini né manifesti identitari da esibire.Di fronte a tali tragedie, che si verificano a tutte le latitudini, manca un sussulto di umanità e una politica capace di affrontare un fenomeno epocale, ma da almeno due decenni davanti ai nostri occhi. Eppure queste persone offrono alle nostre società un’opportunità da non perdere. Sappiamo che il calo demografico europeo richiede l’apporto di nuovi afflussi. Cosa sarebbero le nostre famiglie senza badanti? Gli ultimi dati dimostrano che è iniziato un trend discendente. Il fenomeno migratorio a livello planetario va verso una stabilizzazione. Secondo alcuni studi i flussi dai Paesi poveri subiranno una graduale riduzione fino a scomparire entro il 2050. È solo uno degli scenari possibili ma sicuramente non è una buona notizia per economie fortemente dipendenti dal contributo dei cittadini immigrati. In Europa, e questo è un dato vero, i flussi di ingresso negli ultimi tre anni hanno subito una flessione. Mentre la politica fa fatica a trovare soluzioni che semplifichino i processi di integrazione, vediamo approssimarsi una svolta: il lavoro degli immigrati non sarà una risorsa inesauribile. In Italia si fa già fatica a trovare immigrati per il servizio alla persona. Oggi gli stranieri nel nostro Paese ripopolano luoghi abbandonati, ridanno vita a centri che rischiavano di essere cancellati dalle cartine geografiche e, in molti casi, tengono aperte le scuole elementari che rischierebbero altrimenti di chiudere per mancanza di alunni. Il Natale ci parla di un bambino che non ha trovato posto per nascere. È una storia che si ripete anche oggi in società ricche. Ma perché avere paura di un bambino?. Il senso dell’umanità ci suggerisce di dargli un futuro e non di respingerlo.