Agorà

ANTICIPAZIONE. La religione e il Duce: fede o indifferenza?

giovedì 2 giugno 2011
«La Chiesa di Mussolini» (Rizzoli, pp. 300, euro 20) è il bel titolo del corposo saggio di padre Giovanni Sale, gesuita di origini sarde, 53 anni, professore di Storia della Chiesa contemporanea alla Gregoriana di Roma e redattore de «La Civiltà cattolica». Bello perché «volutamente ambiguo», come era del resto il rapporto del Duce con il cattolicesimo: da una parte allude all’idea di Chiesa – e di religione, di cristianesimo, di papato, di clero – che l’uomo di Predappio dimostrò durante la sua vita e l’attività di governo; dall’altro richiama invece al comportamento della Chiesa, delle gerarchie italiane e del Vaticano, durante il ventennio fascista. Con largo uso di documenti d’archivio inediti ed epistolari rivelatori, padre Sale ricostruisce soprattutto i primi tempi del regime fino ai Patti Lateranensi, dei quali si occupa lungamente, dimostrando tutta l’astuzia della strategia che alla fine permise a Mussolini di apparire agli occhi del mondo come «l’uomo della Provvidenza». Quale fu il rapporto persona­le del Duce con la religio­ne? Egli si considerava «credente» e «cristiano», oppure mostrò indifferenza rispet­to alle problematiche di carattere religioso o spirituale? E ancora, nella sfera privata, familiare, come visse i valori della tradizione catto­lica, ai quali – come disse con orgo­glio – aveva contribuito a ridare di­gnità e riconoscimento pubblico? Non è facile dare una risposta uni­voca a tali domande. Va considera­to che Mussolini non parlava vo­lentieri di questioni attinenti la re­ligione e la fede, e quando lo fece con i giornalisti o in comizi im­provvisati, subito dopo dovette in­tervenire per correggere il tiro: ta­lora per non incrinare il fragile e­quilibrio raggiunto con l’autorità ecclesiastica, tal altra per non scontentare i numerosi anticlerica­li nel partito. In ogni caso, spigo­lando nell’abbondante letteratura riguardante il Duce, nonché tra i documenti di parte ecclesiastica, è possibile tracciare un sommario profilo di Mussolini «religioso». Fu egli stesso, nell’intervista che con­cesse a Emil Ludwing nel 1932, a parlare della sua concezione di Dio, sebbene alcuni di questi pas­saggi siano stati su sua richiesta e­liminati al momento della pubbli­cazione dei «colloqui». «Voglio spiegarle la mia evoluzione. In gio­ventù io non credevo affatto. Avevo inutilmente invocato Dio, perché volesse salvare mia madre; eppure essa era morta. Inoltre ogni misti­cismo mi è estraneo (...). Ma io non escludo completamente (...) che u­na volta, nel corso di milioni di an­ni, possa aver avuto luogo una so­prannaturale apparizione, e che la natura sia quindi divina». Trattan­do poi della sua personale espe­rienza in ambito religioso, aggiun­se: «Negli ultimi tempi si è rinsal­data (in me) la fede che vi possa es­sere una forza divina nell’univer­so ».L’intervistatore, colpito dalle i­nattese parole del Duce, chiese: «Cristiana?». «Divina» ripeté egli quasi con impazienza, e aggiunse: «Gli uomini possono pregare Dio in molti modi. Si deve lasciare as­solutamente a ciascuno il proprio modo». Insomma, Mussolini non professò mai, in nessun momento della vita, la fede come la insegna la Chiesa. B asandosi sugli studi dello storico del cristianesimo Er­nest Renan, riteneva che la Sacra Scrittura fosse sostanzial­mente una leggenda edificante e i dogmi cristiani frutto dell’intelletto religioso: in ogni caso, utili per rafforzare la vita morale delle per­sone ed elevare lo spirito dei popo-­li, ma in se stessi privi di valore og­gettivo. Secondo Giannini – con il quale il Duce negli anni precedenti la Conciliazione si era più volte confidato – egli sentiva fortemente la forza morale del cattolicesimo «e l’impossibilità di mettersi contro corrente, ma, per suo conto, non e­ra mai andato al di là di un vago tei­smo, come negazione dell’ateismo, più che forza viva e operante della fede». Tale interpretazione legge correttamente l’esperienza che Mussolini fece della religione e di Dio. Nella pubblicistica clerico-fa­scista di quegli anni si parlò spesso di Mussolini come di un uomo religioso, rispettoso dei diritti della Chiesa e della tradizione cattolica. Da parte di alcuni esponenti del clero (e perfino dell’alta gerarchia) ci fu poi il maldestro e am­biguo tentativo di «cattolicizzare» il mito del Duce del fascismo, defi­nendolo come «novello Costanti­no », chiamato a risollevare in Italia le sorti della religione. Tentativo che fu però sempre tenuto a freno dalla Curia romana e osteggiato in tutti i modi da Pio XI. Il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, in una relazione alla segreteria di Stato, descrisse la visita di Mussoli­ni alla basilica di San Giusto come quella di un pio devoto, esprimen­do – nonostante il conflitto a quel tempo esistente tra governo fasci­sta e Santa Sede – benevolenza e ammirazione. I n Vaticano, tali atti di devozione del capo del governo – di cui si conoscevano bene le idee e i sentimenti in materia religiosa – venivano guardati con sospetto e, a volte, si insistette presso i vescovi perché mantenessero un atteggia­mento riservato negli incontri con i capi del fascismo e con lo stesso Mussolini. In svariate circostanze, inoltre, la Santa Sede pretese che gli ordinari partecipassero con mode­razione alle numerose manifesta­zioni organizzate dal regime; in particolare, si proibì che venissero accompagnate, come talora veniva chiesto, da celebrazioni o liturgie religiose, come benedizioni, Te Deum e suoni di campane. Arrivato al potere, Mussolini fece della reli­gione cattolica uno dei pilastri del suo ambizioso progetto di costitu­zione dello Stato fascista, moltipli­cando, col passare degli anni, i se­gnali di attenzione e di riguardo nei confronti del Vaticano e della gerar­chia. Una volta messi al bando i «nemici comuni» della Chiesa e del fascismo, cioè il socialismo ateo e rivoluzionario e la massoneria anti­clericale e antipapale, riconobbe ai principi della morale cattolica, so­prattutto in materia familiare e di moralità pubblica, il compito di forgiare la coscienza degli italiani, assicurando così al magistero un ruolo guida nella vita nazionale – naturalmente limitato al solo ambi­to spirituale e morale – e garanten­dogli anche la protezione della leg­ge. Ora, tale «collaborazione» non fu sempre facile, spesso diede luo­go a conflitti e incomprensioni, so­prattutto nella delicata questione riguardante la formazione dei gio­vani e sul ruolo dell’Azione Cattoli­ca, che misero a dura prova tale ta­cito accordo, il quale divenne effet­tivo, o meglio normativo, soltanto con il Concordato Lateranense. Ma neppure questo, come ne sarà pro­va la querelle sull’Azione Cattolica dell’estate del 1931, mise al riparo le due autorità da attriti, incom­prensioni e presunti sconfinamenti di competenza. Sebbene su alcuni fronti esistesse una mutua collabo­razione e intesa tra Chiesa e regi­me, non significava che Mussolini si fosse avvicinato alla fede. Il suo ateismo istintivo era però misto a elementi di superstizione; dopotut­to, disse più volte, «pregare, se non aiuta certamente non nuoce». In questo egli non si differenziava da molti italiani del suo tempo. Dalle relazioni del nunzio apostolico ri­sulta che, nei momenti di difficoltà e di malattia, il Duce chiedesse pre­ghiere per sé e i suoi cari. Durante una crisi egli disse a monsignor Borgon­gini Duca, «di avere bisogno di pregare Dio per lui». Il nun­zio gli replicò: «Pre­ghiamo sempre per lei, e molte persone pregano per la sua conservazione». A tali parole egli ri­spose in tono semiserio: «Sarà fino a che Dio vorrà; ma seguitate a pre­gare, perché ho avuto l’impressione in quei giorni di malattia che voi non preghiate più». N elle fonti di matrice eccle­siastica, affermazioni e ri­chieste simili non sono in­consuete; egli inoltre si commuove­va sinceramente quando il nunzio gli comunicava che il Papa aveva pregato per la sua salute e per i suoi figli. Alcuni autori sostengono che negli ultimi anni di vita avesse ma­turato una propria esperienza di fe­de. A questo fa riferimento sua mo­glie in un’intervista del 1946: «Lui in Dio ci credeva, e me l’ha detto nell’ultima lettera». Non è facile credere a donna Rachele, tanto più che la lettera alla quale fa riferi­mento pare non sia mai stata scrit­ta. Mussolini non mostrò mai alcun interesse verso problematiche reli­giose o spirituali. Per lui la religione era un fatto politico o, al limite, an­tropologico- culturale. Di fatto, sul piano personale, visse come se Dio non esistesse, anche se, come gran parte degli scettici, più di una volta si sarà chiesto se quel Dio sia potu­to anche esistere.