Agorà

Spiritualità. La guerra e la lezione dei sette dormienti

Carlo Ossola martedì 3 maggio 2022

I “Sette dormienti di Efeso” in un affresco medievale nella cattedrale di Crema

Tra le atrocità della guerra in corso, gravida di angoscia è quella dei sepolti vivi – militari e civili – delle acciaierie Azovstal di Mariupol; non sembra per ora esserci soluzione se non tragica. E lo sguardo sulla nostra umanità si fa cupo, incapaci come siamo di evadere dal male, di esimerci da pensare il male, dal commettere il male, dall’accettare il male. Spesso, in queste settimane, è emersa l’impotenza del credere. Eppure le religioni più profetiche, in profondo, non consolano con parabole eudemonistiche, ma accolgono e rovesciano ciò che nell’uomo è più inumano, ciò che nei secoli ha sfigurato il volto dell’umanità. Di questa “vocazione” si fa testimone un’antica tradizione: chi entri nello splendido e austero duomo di Crema, troverà sul lato destro dell’abside un frammento di affresco medievale che incornicia, superstiti, i profili dei sette dormienti di Efeso (raffigurati anche nella Crypta Balbi a Roma e in forma lignea nella Cappella dei Santi Cosma e Damiano ad Angri). La tradizione cristiana, trasmessa in Occidente da Gregorio di Tours e da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum, fu soprattutto diffusa dalla Legenda aurea ed ebbe una larga fortuna figurata. I santi “dormienti”: Costantino, Dionisio, Giovanni, Massimiano, Malco, Marciano e Serapione sono venerati anche dalla tradizione ortodossa. Ed un’eco è non meno presente nella sura XVIII del Corano, detta appunto “sura della caverna”. Narra dunque la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (XIII secolo) che sotto Traiano Decio (201-251 d.C.; imperatore dal 249 al 251) ripresero le persecuzioni anticristiane; sette giovani di Efeso, funzionari di corte, non volendo sacrificare agli idoli, distribuiti i beni ai poveri, si ritirarono in preghiera e digiuno sul monte Celion; ogni mattino uno di essi, travestito da mendicante, andava in città per il pane. Un giorno Malco apprese che Decio, vedendo la loro impavida resistenza, volesse arrestarli; fece infatti murare la caverna in cui erano rifugiati. Ma essi, per volontà divina, si erano già chiusi nel sonno. Secoli dopo, al tempo di Teodosio II (401-450; imperatore dal 408 alla morte), un possidente di Efeso, volendo costruire stalle sul monte Celion, fece abbattere il muro che ostruiva la grotta. I dormienti si svegliarono, si salutarono, come la sera precedente, preoccupati di essere perseguitati; Malco prese con sé una moneta per comprare il pane in città ove, giunto, trovò dappertutto i segni della croce cristiana e il nome di Cristo liberamente pronunciato. Pagando il pane con la sua moneta, se la vide rifiutata, come da secoli scaduta. Cercò nella folla volti noti e non trovò che facce sconosciute. Portato in giudizio per frode, assicurò di aver visto Decio ancora il giorno prima e che anche gli altri compagni della caverna avrebbero potuto testimoniarlo. Così fu e il vescovo e il proconsole, presa coscienza del miracolo, avvertirono Teodosio che da Costantinopoli si recò a Efeso, salì alla caverna e si prosternò, in pianto e in giubilo: «“Nel vedervi, è come se io vedessi il Signore che risuscita Lazzaro”. Allora Massimiliano gli disse: “È per te che Dio ci ha risuscitati prima del giorno della Grande Risurrezione, affinché tu non abbia più dubbi sulla sua realtà!” Poi, detto questo, tutti e sette si addormentarono di nuovo, reclinando il capo, e resero la loro anima a Dio». L’imperatore voleva dar loro sepoltura in bare dorate, ma la notte stessa i sette risorti gli apparvero in sogno e gli fecero sapere che per secoli avendo dormito nella terra, dalla terra erano risorti, e così nella terra ancora volevano riposare sino al giorno del Giudizio finale e della Risurrezione. Sin qui la leggenda, che ha ispirato molti scrittori contemporanei (tra gli altri: Jorge Luis Borges e Michel Butor); ma essa parla anche a noi, in queste settimane di guerra, di sepolti vivi e di fosse comuni. L’apologo certo venne diffuso per contrastare le eresie avverse alla risurrezione dei corpi, ma ci insegna anche altro: non c’è morte che sfiguri o mutili il corpo umano così tanto che non possa riprendere la sua forma gloriosa. Torneranno comunque alla luce, dal ventre dell’acciaieria: vivi ora, se prevarrà ragione; ma vivi sempre nella gloria dei corpi ritrovati e colmi di splendore: perché, per Dante, anche i beati attendono di ritrovare i loro corpi terreni: «Che ben mostrar disio d’i corpi morti: / forse non pur per lor, ma per le mamme, / per li padri e per li altri che fuor cari / anzi che fosser sempiterne fiamme» (Paradiso, XIV, 63-66). L’apologo dei “sette dormienti” vale anche più in profondo: risorti per un istante, chiesero la grazia di tornare alla terra sino al giorno del Giudizio: troppo avevano già visto di persecuzioni, di miseria, di abominio. Anche di quella pace hanno bisogno i morti, e i vivi: sugli uni e gli altri reclini posano, a Crema e sulla nostra terra feroce, i “sette dormienti di Efeso”.