Agorà

Anniversari. 1814, il ritorno dei gesuiti

Filippo Rizzi sabato 19 luglio 2014
​Furono circa 150 i gesuiti, la maggioranza dei quali anziani e malandati a causa anche degli acciacchi dell’età, che si presentarono alla chiesa del Gesù a Roma, il 7 agosto del 1814, per assistere all’atto di “restituzione” del loro ordine alle sue antiche funzioni. Pio VII – il benedettino Barnaba Chiaramonti – con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum, a pochi mesi dal suo rientro a Roma dalla prigionia napoleonica, ricostituiva ufficialmente la Compagnia di Gesù, soppressa 41 anni prima da Clemente XIV con il breve Dominus ac redemptor del 21 luglio 1773. Un evento, quello di duecento anni fa, che faceva in un certo senso “risorgere” l’antico ordine fondato da Ignazio di Loyola (l’unico soppresso in tutto il Settecento) e riconsegnava i suoi figli al loro antico ruolo di missionari, scienziati e di educatori; ma soprattutto, come indicò Pio VII, di uomini «remiganti esperti e valorosi».Da quel giorno la Compagnia riprendeva ufficialmente il suo cammino nella storia e in seno alla Chiesa cattolica con i suoi seicento religiosi, sparsi in tutto il mondo. Il breve fu consegnato dal Papa al provinciale dei gesuiti italiani Luigi Panizzoni che, a nome del generale designato, il polacco Taddeo Brzozowosky (trattenuto dal governo dello zar Alessandro I nella Russia Bianca fino alla sua morte, nel 1820) rivedeva così “rinascere dalle ceneri”, come avrebbe detto lo storico gesuita Giulio Cesare Cordara, l’antico ordine loyoliano. «Fu un evento – spiega il gesuita e storico Miguel Coll – che significò per i padri più anziani della Compagnia la fine di un lungo esilio, del dramma vissuto da molti religiosi durante gli anni della soppressione, a cominciare dall’ultimo generale dell’ordine, il fiorentino Lorenzo Ricci, che morì prigioniero tra le mura di Castel Sant’Angelo nel 1775. Rappresentò la fine anche di una condanna che gravò, quarantun anni prima, su circa ventitremila religiosi costretti a vagare “quasi come appestati” per l’Europa e ad essere accolti, nei casi più fortunati, come abati o precettori presso le diocesi o le corti europee…».E forse non è un caso che, alcuni giorni dopo la sua elezione al soglio di Pietro, il primo Papa gesuita nella storia della Chiesa, Jorge Mario Bergoglio, spiegando il motivo della scelta di chiamarsi Francesco abbia rivelato, con una punta di ironia, che uno dei cardinali gli suggerì di scegliere il nome di Clemente XV «per vendicarsi di Clemente XIV che aveva soppresso la Compagnia di Gesù…».La Russia Bianca rappresentò per quei quarantun anni di soppressione il vero collante tra la vecchia Compagnia (1540-1773)e la nuova del 1814: qui grazie alla regina ortodossa Caterina di Russia (come successe nella Prussia del re protestante Federico II) non divenne mai esecutivo il breve clementino Dominus ac redemptor. «In un certo senso la Russia Bianca, corrispondente oggi a una parte della Polonia e della Bielorussia, costituì la “culla” dell’ordine perché qui sopravvisse – rivela la storica Sabina Pavone – l’antica identità. Esistevano un noviziato e un vicario, come ai tempi di Ignazio, e i gesuiti potevano percepirsi come gli ultimi epigoni di un mondo scomparso, ma anche il punto di inizio di una nuova rinascita. Per questo ho sempre intravisto in questa esperienza la vera “catena ininterrotta” tra la nuova e antica Compagnia di uomini che erano allo stesso tempo sudditi del Papa e dello zar». E annota un particolare: «Dal 1814 la grande tradizione pedagogica dei gesuiti con i collegi le università riprende la sua strada. L’altro punto di forza sarà l’impulso alle missioni».
Una Compagnia che riparte, insomma, ma che sembra avere, nei primi anni dell’Ottocento, le sembianze dell’Ancien Régime, aliena ai valori della Rivoluzione Francese e figlia, in un certo senso, della restaurazione del Congresso di Vienna (1815) . «È certamente così, ma rinasce in un certo senso come ordine più rinvigorito e dove si accentua la disciplina – spiega lo storico Mario Rosa –. La stessa soppressione è il frutto di una scelta molto graduale e di un lungo discernimento da parte di Clemente XIV, il francescano conventuale Lorenzo Ganganelli: quando vede che oramai in tutti gli Stati cattolici i gesuiti vengono espulsi si vede “costretto” a questo gesto, quasi a recuperare uno spazio di autonomia e di azione per il papato stesso. Quello che mi ha sempre colpito, e forse spiega la repentina rinascita dell’ordine, è il fatto che quasi tutti gli ex gesuiti, nonostante il vento “anti-ignaziano” di molte corti europee, diventano abati, uomini di cultura, precettori, bibliotecari. Si pensi solo al teologo di fiducia a Imola del cardinale Chiaramonti (il futuro Pio VII), il cileno Diego José Fuensalida, o il messicano padre Torres, precettore in casa Leopardi. La loro azione è quasi sempre nei luoghi dove avevano esercitato anche prima un ruolo: la cultura, l’apostolato intellettuale ma anche la difesa del primato petrino. Continuano ad essere strategici nella società che conta». Nella Russia Bianca troveranno, dopo un lungo cammino a piedi, l’ultimo rifugio prima della morte una trentina di padri; qui entrerà come novizio il futuro generale e “normatore” della nuova Compagnia di Gesù, l’olandese Jan Philipp Roothaan (1783-1853). «A lui si deve l’impianto normativo della Compagnia ottocentesca – argomenta padre Coll – che è rimasta in piedi fino al Vaticano II. I gesuiti del 1814 sono forse più conservatori di quelli precedenti, è vero. Ma sono convinto che esista una continuità tra la Compagnia antica e quella nuova. Sono dei veri combattenti, lottano contro il liberalismo. Il processo di consolidamento ed espansione della Compagnia di Gesù restaurata non è stata una semplice dimostrazione di conservatorismo».
Un ordine risorto anche grazie alla lungimiranza di un papa benedettino di Cesena. «Pio VII – riflette il professor Rosa – è stato un pontefice di grandi vedute. È il Papa dei concordati napoleonici: l’uomo che nel 1797 da vescovo di Imola sostenne, in una omelia, la conciliabilità del Vangelo con la democrazia, ma anche il Pontefice che già nel 1801 riaprì al graduale riconoscimento della Compagnia in Russia con i brevi Catholicae fidei e poi nel 1804 Per alias nel regno borbonico delle Due Sicilie. Preparò insomma il terreno ideale per un ritorno ufficiale dei gesuiti in seno alla Chiesa cattolica». Un anniversario, quello dei duecento anni della ricostituzione della Compagnia, dal forte valore simbolico, secondo la storica Pavone: «Perché non solo è “regnante” il primo Papa gesuita, ma anche il primo extraeuropeo. È interessante notare che per questo anniversario le celebrazioni storiche più rilevanti non sono avvenute nel Vecchio Continente ma in Asia e nelle Americhe. Un segnale che forse la Compagnia di Gesù, per come l’abbiamo sempre immaginata, non è più eurocentrica ma sempre più orientata fuori dall’Europa, in terre lontane che rappresentano il futuro del cristianesimo. In quelle terre non solo vi è forse l’avvenire della Compagnia, ma anche la sua identità futura».