Us Open, finale inevitabile: Sinner-Alcaraz per la vetta
di Davide Re
Nelle semifinali Jannik ha battuto in 4 set il canadese Auger-Aliassime, mentre Carlos ha strapazzato Djokovic, ormai prossimo alla resa anagrafica

Lo US Open ha trovato ancora la sua finale annunciata: Jannik Sinner contro Carlos Alcaraz. La terza sfida consecutiva in un grande Slam, questa volta ha un significato ancora più grande: non solo il titolo, ma anche la vetta del ranking mondiale. Dietro a loro due, tuttavia, c’è il vuoto, tanto da prospettare per il futuro il rischio noia per questa sfida infinita tra due campioni, dopo tutto, ancora giovanissimi.
L’italiano e lo spagnolo si sono conquistati l’ultimo atto con due semifinali dal sapore diverso ma ugualmente eloquenti. Sinner ha piegato il canadese Félix Auger-Aliassime 6-1, 3-6, 6-3, 6-4 in un match in cui ha dovuto anche ricorrere a un intervento medico per un affaticamento («nulla di preoccupante», ha rassicurato il campione azzurro), ma che ha saputo raddrizzare con freddezza e la consueta disciplina tattica. Alcaraz ha liquidato Novak “Nole” Djokovic 6-4, 7-6, 6-2, una vittoria che sancisce con chiarezza il passaggio di consegne: il serbo, a 38 anni, resta un campione capace di strappi e orgoglio, ma ormai non più in grado di ribaltare un duello di questa intensità. È l’immagine stessa del cambio d’epoca: l’eroe di ieri che resiste, ma deve lasciare spazio a chi plasma il tennis del futuro.
La finale di Flushing Meadows, che in Italia si assisterà tra stasera e domani mattina, sarà così un “winner-takes-all” (chi vince prende tutto) che assegnerà primato e trofeo a chi riuscirà a imporsi. I numeri lo confermano: Sinner era arrivato a New York da numero uno con 11.480 punti ATP, Alcaraz lo inseguiva a 9.590. Con il regolamento attuale, chi alzerà la coppa sarà anche il leader del ranking, senza calcoli ulteriori. Ma al di là delle cifre, la sostanza è altrove. La sensazione è che il circuito sia entrato in una nuova fase dominata da un duopolio rigido, quasi impenetrabile. Entrambi lavorano con una cura maniacale del dettaglio: Alcaraz, dopo due stagioni segnate da infortuni, ha ritrovato una condizione fisica perfetta, mostrando una muscolatura più imponente senza perdere rapidità e inventiva. Sinner, dal canto suo, rifugge qualsiasi celebrazione: dopo ogni vittoria chiede di rimettersi subito a lavorare, quasi ossessivamente, su un aspetto tecnico. Il servizio, la risposta, la posizione in campo: tutto diventa un laboratorio permanente, come se la perfezione fosse una necessità quotidiana. «Da fondo è opprimente - ha detto Lorenzo Musetti, che ha perso contro Sinner nei quarti in maniera netta -. Ha profondità incredibile, è solidissimo e concede pochissimo. Questo ti costringe ad alzare l'asticella e spesso ti porta fuori giri, perché il livello si alza molto. Forse solo Carlos, in condizioni ottimali, può dargli fastidio ora. Sono rimasto impressionato da Jannik».
Questa tensione reciproca al miglioramento ha prodotto una distanza crescente rispetto agli inseguitori. Alexander Zverev, Stefanos Tsitsipas, Daniil Medvedev e la pattuglia dei giocatori di scuola russa o di origini slave appaiono sempre più spaesati, così come gli stessi emergenti come Musetti, top ten, che sia da Sinner che da Alcaraz quest’anno ha ricevuto - purtroppo - delle sconfitte nette. Non si tratta solo di un divario tecnico, ma psicologico. Scendono in campo contro Sinner o Alcaraz con la rassegnazione stampata negli occhi, come vittime sacrificali destinate a recitare una parte secondaria. La competitività resta viva solo in briciole di partita, mentre l’esito sembra scritto in anticipo. È un fenomeno raro per il tennis moderno, abituato a cicli dominati sì da pochi grandi, ma con una platea più ampia di sfidanti pronti a inserirsi. Oggi, invece, la sensazione è che nessuno sia davvero in grado di spezzare il duopolio.
Il caso Djokovic, semifinalista generoso ma impotente (e forse prossimo al ritiro), accentua questo quadro. Il serbo resta uno dei più grandi di sempre, ma l’età e il calo fisico diventano limiti concreti. Ha tenuto il campo con orgoglio, ha sfidato Alcaraz da pari a pari per oltre un’ora, ma quando i colpi hanno perso precisione è stato travolto. È la fotografia di un campione che si avvia al crepuscolo, mentre due ventenni monopolizzano i riflettori. Non è un dettaglio secondario: anche l’immaginario degli appassionati è sospinto in questa direzione, a metà tra l’ammirazione e un senso di saturazione.
Perché lo spettacolo che offrono Sinner e Alcaraz è straordinario, un tennis che unisce potenza, velocità, fantasia e resistenza come mai prima d’ora. Ma alla lunga, l’assenza di variabili rischia di pesare. Il fascino dello sport vive di incertezza, di sorprese, di epiloghi inattesi. Qui, invece, la finale sembra scritta già alla vigilia, come un copione di cui conosciamo le battute. È la grandezza che rischia di diventare monotonia: un paradosso che accompagna ogni fase di dominio assoluto.
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