L'impresa di Ilias Aouani, l'ultimo prodigio dell'atletica azzurra

L'Italia torna sul podio iridato dopo oltre vent'anni grazie all'ingegnere di sangue marocchino cresciuto a Milano: «Quando ci credi abbastanza, i sogni si possono realizzare»
September 14, 2025
L'impresa di Ilias Aouani, l'ultimo prodigio dell'atletica azzurra
ANSA | L'azzurro Iliass Aouani, 29 anni, bronzo nella maratona ai mondiali di atletica 2025
«Quando ci credi abbastanza, i sogni si possono realizzare». Parola di Iliass Aouani, l’ultima grande rivelazione dell’atletica italiana, splendido bronzo nella maratona ai Mondiali di atletica in corso a Tokyo. Dopo oltre vent’anni l’Italia torna sul podio grazie all’ingegnere nato in Marocco nel 1995, a Fkih Ben Salah, ma rimasto in Africa solo due anni prima di trasferirsi a Milano, dove ha raggiunto il papà. In una rassegna in cui gli eroi azzurri dei Giochi in Giappone nel 2021 come Jacobs e Tamberi passano il testimone, il volto “nuovo” nel medagliere italiano è l’insospettabile Iliass. Un’ascesa cominciata tra i banchi di classe, con le gare studentesche che hanno in acceso in lui la passione per la corsa, intrapresa a 16 anni. Nel 2014 il primo squillo: il titolo nazionale dei 5000 juniores. Terminato il liceo scientifico, si è trasferito negli States: un anno a Beaumont, in Texas, alla Lamar University con coach Tony Houchin, quindi a Syracuse, nello stato di New York, per conseguire la laurea triennale in ingegneria civile e quella magistrale in ingegneria strutturale. Studio e pista, il ritorno in Italia, a Ferrara, sotto la guida di coach Massimo Magnani gli ha dato ulteriore consapevolezza: nel 2021 è diventato il primo a vincere nella stessa stagione i titoli italiani assoluti di cross, 10.000 su pista, 10 km su strada e mezza maratona, migliorandosi su tutte le distanze. Ma è la maratona a consacrarlo: nel 2025 ha vinto l’oro alla prima edizione degli Europei di corsa su strada a Lovanio. Fino all’exploit giapponese dove ha scritto il suo nome nella storia dell’atletica azzurra. Il bronzo alle spalle del tanzaniano Simbu e del tedesco Petros è da incorniciare: l’ultimo - e unico - medagliato in una rassegna iridata era stato Stefano Baldini, terzo sia a Edmonton nel 2001 che a Parigi nel 2003. È l’ennesimo prodigio dell’atletica italiana capace di rendere meno amaro i flop delle sue stelle più luminose di questi anni. Jacobs e Tamberi, insieme, a Tokyo e nello stesso giorno - a distanza di qualche minuto - vinsero l’oro olimpico dei 100 metri e del salto in alto alle Olimpiadi, quattro anni fa; insieme, a meno di un’ora di distanza l'uno dall’altro, hanno mancato domenica l’accesso alla finale dei Mondiali sulla stessa pista dello stadio olimpico.
È la fine di un’epoca. «Devo prendermi un po’ di tempo per capire se vale la pena di continuare a soffrire» ha detto sconsolato Jacobs, che pensa all’addio dopo aver chiuso sesto la sua semifinale con un 10''16. «Sto uno schifo», gli ha fattp eco Tamberi, che ha fallito tre volte il 2.21 della qualificazione, come a Parigi ma senza gastroenterite. Stavolta rialzarsi sarà ancora più dura, verso Los Angeles 2028 che a dire di “Gimbo” resta l’obiettivo perché età anagrafica avanza: trentuno anni lo sprinter, trentatré l’altista. I problemi fisici hanno condizionato tutto il percorso post 2021 di Jacobs, che ha anche provato a cambiare allenatore e location tornando negli Usa. L’oro mondiale dei 60 indoor (‘22), i due ori Europei a Monaco (‘22) e Roma (‘24) e l’argento in staffetta ai Mondiali di Budapest (‘23) sono stati lampi di gioia macchie in un quinquennio difficile. I tempi dei Giochi di Parigi avevano di nuovo fatto sperare i suoi tifosi: 9''99 in semifinale (ripescato in finale) e un dignitoso 9''85 in finale, col sesto posto. Ma il 2025 è stato un calvario. E il futuro è un grande punto interrogativo: «Faccio vita da atleta 24 ore su 24, 365 giorni l'anno, ho gioito tante volte ma ho avuto giorni tristi tre volte di più: sinceramente è difficile continuare a rincorrere le stagioni e gli infortuni. Di ori e argenti a casa ne ho, nessuno rimpianto, va capito quando è il momento di mollare... Non si può vivere nel passato. Non mi sento più il Marcell di una volta, la testa dice che non riesce a continuare a reggere tutte queste delusioni». Pista amarissima anche per Tamberi, in forse se partecipare fino all’ultimo. Un anno fa a Parigi la social-novela della gastroenterite, la scelta di andare in pedana tra i dolori e l’eliminazione, poi la tentazione di mollare per dedicarsi alla famiglia. Dall’annuncio (dal palco di Sanremo) della scelta di continuare fino a Los Angeles, è stata però una stagione tutt’altro che incoraggiante. «Ho fatto un risultato pietoso - la sua analisi dopo l’eliminazione - So che i bassi possono servire per ripartire e so da che stagione vengo: però fa male. Vorrei tornare a casa dalle mie donne che mi faranno passare questo brutto stato. Mi sono presentato con condizioni tutt’altro che buone ma sapevo di potere saltare oltre i 2,30 altrimenti non avrei lasciato in Italia la mia bambina di 20 giorni. Mi sento uno schifo».
A differenza di Jacobs, però non ha nessuna voglia di mollare: «Per la prima volta non vedo l’ora di tornare a prepararmi: la scelta di proseguire fino a Los Angeles la rifarei». In attesa e con la speranza di rivedere di nuovo Tamberi protagonista, ecco un’altra promessa del salto in alto:Matteo Sioli, 19 anni, approdato in finale con la misura di 2.25. È la capacità dell’atletica italiana di regalare da qualche anno talenti e gioie senza fine. Come quella ora incontenibile del maratoneta Aouani: «Nella mia testa ho sempre saputo di poter essere un campione, anche quando il mio nome diceva niente a nessuno. Sono orgoglioso, ma la fame non si esaurisce certo qui, anche se questo è uno di quei momenti che si cercano per tutta la vita. Sono stato folle sino al punto da sognare in grande. Sono grato a chi ha creduto in me, felice di alzare il tricolore e di aver reso contente tante persone: la mia famiglia, il coach Magnani e tutto lo staff che mi segue». L’impresa raccontata con le sue stesse parole si arricchisce di dettagli eroici: «Al 15° chilometro ho messo a tacere alcune voci che dentro di me mi dicevano di mollare. Intorno a metà gara, a uno spugnaggio, ho perso una delle lenti a contatto, ma mi son detto che me ne poteva bastare una. Sono entrato nello stadio ed è stato bellissimo, puntavo all’oro, ma gli altri stati più bravi». Un successo che ripaga tante amarezze: «L’anno scorso ho vissuto la delusione di non essere stato convocato per l’Olimpiade, gli ultimi due mesi sono stati molto complicati anche per qualche infortunio…Questo bronzo arriva dal nulla, dalle case popolari di Ponte Lambro, a Milano e spero che la mia storia sia di ispirazione per tutti: quando ci credi abbastanza, i sogni si possono realizzare. Mio padre sta per andare a lavorare in cantiere e sarà fiero di me. In questa medaglia c’è di tutto: momenti di sconforto, lacrime versate in macchina da solo, ma ce l’ho fatta».

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